Sinistra Autonomia FederalismoRipartiamo dalle idee e dai territori
La crisi dell’Europa è evidenziata da diverse spaccature su questioni fondative: si rialzano barriere o muri, si alimenta la paura, anzi è su quella che si fa leva,si incrementano le spinte che snaturano l’Europa e lo spirito dei padri fondatori , quello che ha ispirato il manifesto di Ventotene.
La solidarietà, la condivisione lasciano lo spazio agli egoismi degli stati nazionali in parte ostaggio dei mercati di capitale e di decisioni intergovernative ristrette a pochi paesi membri.
Si assiste cosi ad uno spostamento della prospettiva nello spazio del mediterraneo, con il sud a proporsi come centro propulsore di nuove opportunità.
La politica europea di vicinato risulta debole se si concentra prevalentemente sulla sicurezza (e quindi alla questione dei migranti) e non costruisce un modello forte di partenariato. Occorre, invece, costruire una politica euro mediterranea che sia all’altezza delle sfide del nostro tempo per evitare un declino e una periferizzazione dal contesto mondiale.
Le crisi umanitarie sono crisi derivate da contesti politici che potevano avere esiti diversi con delle soluzioni diplomatiche e negoziali (si pensi a Iraq, Libia, Mali, Siria..). La sovranità viene messa in gioco e si apre con enfasi all’”universalità dei diritti umani”. Tema serio che non può contenere un indistinto quadro emergenziale. I popoli sono pervasi da messaggi e visioni contrastanti: da una parte il rifiuto di riconoscere le diversità e dall’altra la crisi del multiculturalismo.
Appurata la dimensione burocratica ed il fallimento sostanziale di Barcellona del 1995. Che fare? Non esistono risposte semplici, ne ricette veloci o soluzioni facili. I “sovranisti” e i populisti agitano paure ma non hanno risposte. La situazione dovrebbe, ritrovare una dimensione politica che possa andare oltre “l’umanitario”. Qualcosa in Europa, seppur timidamente sta cambiando, ma non bastano la Merkel e Macron, l’Italia è assente e relegata al turpiloquio di Salvini. Occorre costruire un nuovo modello, una maggiore integrazione con il sud, una rinascita che salvaguardi i territori. Nella sostanza, uno sviluppo sostenibile, che rompa le disuguaglianze e che rovesci il paradigma liberista e mercantilista. L’Africa è il nostro futuro, non nella banalizzazione del “aiutiamoli li” ma nell’unico modo possibile ossia la difesa dei beni comuni, acqua , terra, risorse materiali. In questo modo aprire alle politiche di libero scambio e di integrazione dei mercati. L’Italia è interessata all’evoluzione positiva del continente africano da una parte per cogliere le opportunità di un grande mercato, dall’altra per limitare i rischi legati ai flussi migratori. Si tende a semplificare il fenomeno, con slogan, e muri, dimenticando che si parla di un continente che raddoppierà nel 2050 la popolazione attuale. Costituirà 34% del totale della massa mondiale dei giovani.
La separatezza salva le identità (forse) ma preclude ogni forma di convivenza, persino in natura la biodiversità è essenziale.
Detto ciò vorrei più semplicemente porre l’accento su quella che è la mia esperienza personale e professionale, all’interno della cooperazione euro-mediterranea.
In particolar modo la mia esperienza si collocanella riva sud del mediterraneo, il Maghreb, nello specifico la Tunisia, che ricordo dista poco più di 200 km dalla nostra costa.
La Legge 125 del 2014 da una nuova idea di cooperazione, non vi annoierò con i dettagli tecnici ma di sicuro si inizia a parlare, con più forza, di cooperazione come volano di sviluppo.
Un utile strumento di contrasto è l’approccio in termini di CO-SVILUPPO (non la cooperazione umanitaria come strumento classico di intervento dove spesso il protagonismo dei governi donatori alimenta le oligarchie), che rafforzano i sistemi di integrazione economica e di governo dei processi (es: utilizzo delle risorse strategiche; modelli sostenibili di inclusione sociale; riconoscimento del lavoro e dei diritti).
Si sottolinea l’importanza di uno sviluppo partecipato pubblico/privato attraverso investimenti e sinergie. Non si ragiona più, quindi, in termini di “dono” e “paesi donatori” ma “paesi partner” e “patti territoriali”. In un contesto mutato intriso di relazioni economiche e sociali, l’idea dello sviluppo e dell’ aiuto ai paesi si configura dentro un quadro multilaterale, caratterizzato da vincoli sulla sostenibilità ambientale, sullo sviluppo umano e sul buon governo e sulla crescita economica.
Quali sono le modalità di cooperazione più efficaci?
Ci sono due modi di fare “buona cooperazione”, da una parte la formazione, dall’altra la cooperazione i termini di crescita sinergica, la cooperazione decentrata.Voglio citare alcuni esempi virtuosi nati proprio qui in Sardegna
- La formazione: il progetto Formed della Fondazione di Sardegna
Una nuova generazione mediterranea che viene formata qui in Sardegna per rispondere alle sfide dell’attualità. Per costruire collaborazioni solide, durature, sostenibili. Formare giovani studenti, stabilire rapporti universitari di qualità, viaggiare nelle diversità riconoscendole e considerandole come un valore aggiunto e non una minaccia. Le Università di Sassari e Cagliari e la Fondazione di Sardegna lavorano ormai da due anni per raggiungere questo obiettivo grazie al progetto ForMed e grazie allo studio dei tanti studenti maghrebini attualmente iscritti presso le Università sarde di Cagliari e Sassari. Un progetto che può certamente essere considerato una buona pratica, ma che allo stesso tempo può aprire ulteriori formule di cooperazione, creare nuove opportunità ed istaurare nuove relazioni più ampie. Questi studenti saranno le nostre teste di ponte in questi Paesi. Sia che decidano di restare qui, che decidano di rientrare e creare nuove realtà economiche che comunque avranno un interlocutore privilegiato, il paese che li ha formati. O ancora, potranno essere futura classe dirigente.
- La cooperazione decentrata, c’è un protagonismo di Regioni e Comuni nella nuova cooperazione.
Voglio parlarvi di un progetto che seguo personalmente, con capofila la RAS, che vede protagonisti due territori simili dal punto di vista ambientale, ma simili anche in termini di disoccupazione e crisi. Sulcis e il governatorato di Jendouba, situato a nord-ovest della Tunisia. Il progetto ha previsto e prevede una serie di steps: tra questi dei moduli di scambio, tra soggetti economici, universitari e istituzionali sardi e tunisini che di volta in volta visitano le realtà sarde (i tunisini) e le realtà tunisine (i sardi).
Anche in questo caso la cooperazione crea opportunità per i territori da entrambe le parti e ciò che è visto come una minaccia inizia ad essere interpretato diversamente.
E’ il caso dell’olio tunisino, il sistema ed il monopolio tunisino danneggiano da un lato i produttori italiani, poiché creano un mercato non concorrenziale, e dall’altro quelli tunisini, che sono anch’essi vittime di questo meccanismo, poiché l’olio viene acquistato a prezzi bassissimi dai grandi colossi, di conseguenza chi ci guadagna e il solo rivenditore finale (l’ultimo anello della catena). Quello è il nostro grande competitor che di certo non è tunisino. La cooperazione da modo a questi territori, piccoli e caratterizzati dalla piccola e media imprenditorialità, di collaborare per poter crescere insieme e sfidare “i grandi”.
Non è con slogan o avanzando logiche che prevedano l’innalzamento dei muri che si uscirà dalla crisi, dalle crisi, governiamo il nostro futuro con più strategia ma soprattutto con più fiducia…
Cagliari 25 giugno 2018