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Riflessioni sul voto delle regionali 2019
di Mario Pinna
Queste riflessioni seguono la traccia proposta da Tore Cherchi.
il forte smottamento verso destra e verso sinistra dell’elettorato di Cinque Stelle appare quasi un “rompete le righe”: la fedeltà degli elettori verso Cinque Stelle a Cagliari si è ridotta ad un elettore su 5 e a Sassari ad 1 su 4. Questo denota una crisi profonda del Movimento non spiegabile solo con l’inadeguatezza dei gruppi dirigenti o col cambio di candidato presidente a campagna elettorale avviata. Appare evidente la diffusa perdita di credibilità del Movimento, la disillusione di un numero importante di elettori.
E’ stata imponente la forza della Lega ed in particolare del leader Salvini nell’attrarre consensi verso Solinas. Tuttavia nel campo del Centro Destra non può sfuggire il forte astensionismo a SS: 43% verso FI e 36% verso la Lega.
Se si tiene conto dello stato del PD in ambito regionale e nazionale al momento del voto, il discreto risultato elettorale rispetto alle previsioni di qualche mese prima induce a pensare che la buona tenuta del partito sia, non tanto frutto della riconquistata credibilità, quanto una sorta di scelta del “male minore” oltreché un’ulteriore apertura di credito da parte degli elettori, nell’aspettativa che la sinistra ritrovi la sua funzione storica.
Una parte importante del risultato, specie nell’area di Cagliari, sembra dovuta alla candidatura di Zedda, tanto che a Ca il flusso verso Solinas e Desogus si è ridotto ad appena 7 punti.
Per quanto sopra si può ragionevolmente ritenere che l’esito del voto regionale -pur non dimenticando che la sinistra ha perso il governo della Regione! -riservi al PD lo spazio per un ampio recupero elettorale se questo partito dimostrerà sul campo nuova credibilità e capacità innovativa.
Come potrà il PD rinnovarsi e innovare? Innanzi tutto, quale forma partito vorrà assumere? Un problema cruciale di cui poco si discute che investe la cultura stessa del Partito e da cui deriva molta parte delle attuali difficoltà.
Un partito che si definisce democratico, difficilmente può condurre nella società e nelle istituzioni battaglie per l’eguaglianza, la giustizia sociale e la solidarietà se non fa di questi tre cardini la radice della propria identità e se non è autenticamente democratico nella propria vita interna.
Si è avvertita anche nel corso della campagna elettorale una domanda di forte partecipazione dei cittadini alla vita politica.
Anche il forte astensionismo credo nasconda una reazione alla domanda di partecipazione non raccolta dalla sinistra. I cittadini che guardano alla sinistra chiedono porte spalancate verso simpatizzanti ed iscritti come portatori di intelligenza, competenza, passione civile, impegno sociale e mai come supporter elettorali di questo o quello. Non più tessere intese come quote azionarie per il controllo degli organismi e, a cascata, di ruoli istituzionali. Non competizione ostile tra dirigenti ma emulazione animata da passione civile.
In un’organizzazione democratica i ruoli non possono che derivare dall’impegno di ciascuno nel proporre idee e programmi innovativi, dalla credibilità conquistata davanti all’opinione pubblica, e riconosciuta da iscritti, simpatizzanti e organismi democraticamente eletti. La richiesta è: noni più camarille, cordate, caminetti, ecc.., causa di fondo di divisioni, perdita di credibilità, decadimento dei gruppi dirigenti, mancata adesione di nuove forze e specie di ragazze e ragazzi.
A mio avviso per spendere bene il nuovo credito accordato dagli elettori si richiede una sinistra aperta, creativa, rispettosa delle proprie regole, un’organizzazione come luogo di riflessione, di studio, partecipazione per elaborare progetti aderenti alle necessità della parte di società che s’intende rappresentare.
La promozione della partecipazione rimanda al ripristino/costruzione di luoghi e occasioni di incontro per lo scambio delle informazioni e il confronto delle idee. Non bastano i social media: questi, purtroppo, nella fase attuale, sono spesso veicolo di messaggi demagogici populisti e sovranisti. Non bastano neppure saltuarie riunioni di organismi. Sono necessari circoli, gruppi tematici, volontariato, iniziative pubbliche su problemi vivi e attuali, manifestazioni anche a cielo aperto, in grado di coinvolgere larghe fasce di cittadini e di riorientare l’opinione pubblica.
La giunta, cosidetta, dei professori: accanto a evidenti insufficienze, credo abbia anche dei meriti. I giudizi liquidatori sullʼesperienza di governo della propria parte politica non è mai un bene, è unʼammissione di propria inadeguatezza, peraltro non corrisponde alla realtà dei fatti: a mio avviso si potevano esprimere giudizi più calibrati.
Certo, la Giunta mancava di una regia politica interna, né vi erano le condizioni per un supporto politico e programmatico da parte della coalizione ed in particolare del PD, a sua volta in difficoltà.
Pensando al futuro, il quesito al quale occorrerebbe rispondere è: perché la sinistra ha avuto frequentemente la necessità di ricorrere a figure esterne per il governo della massima istituzione regionale? Tale scelta non è certo dovuta allʼassenza di donne e uomini dotati di qualità politiche,di esperienza e competenza. Forse è mancata la ragionevolezza per superare i dissidi interni e compiere scelte più appropriate. Se così è, non si può poi darne lʼintera responsabilità ai professori, chiamati ad un ruolo di supplenza della politica.
Riguardo alla modesta presenza di donne elette, appare evidente che permane un ritardo nellʼacquisizione di una diffusa consapevolezza del valore politico, culturale e sociale della complementarietà tra i generi nei partiti, nelle istituzioni e ogni funzione sociale. La presenza più ampia delle donne nelle istituzioni non è una concessione: è una necessità irrinunciabile. In questa situazione occorre perciò mantenere almeno lo strumento minimo delle quote.
Lʼinsuccesso nellʼelezione delle donne sollecita un riflessione seria sulla legge elettorale in vigore. A distanza di settimane questa legge non consente di avere il quadro definitivo degli eletti. Mi chiedo poi che senso ha il “voto disgiunto” se non quello di alimentare i difetti della politica? I“programmi di governo delle coalizioni” dovrebbero essere la base del confronto e del patto con gli elettori. Invece è la legge elettorale stessa a considerarli una finzione, visto che il “voto disgiunto” consente di saltare da uno schieramento ad un altro per raccattare preferenze!
Il fenomeno dellʼalternanza ha sempre impedito ai governi regionali della sinistra di esprimere tutte le proprie potenzialità innovative e di cambiamento, in un arco temporale congruo (almeno 10anni). La ragione di fondo pare da individuare nel fatto che la sinistra non è riuscita finora ad apprestare governi aventi qualità politiche e proposte programmatiche tali da rendere chiara agli elettori la strategia di lungo periodo e tali da renderli partecipi, in corso dʼopera, del loro avanzamento. Non si tratta di compiere prodigi. Non cʼè nessun elemento di fatalità nel fatto che in Sardegna le legislature si svolgano come un processo di progressivo abbandono dei punti programmatici e di conseguente delusione dellʼopinione pubblica. Occorre attrezzarsi, come altre realtà riescono a fare, perché lʼazione di governo produca risultati inconfutabili e tali da allargare il consenso.
La durata dei cicli del consenso elettorale nell’attuale fase politica si sono fortemente contratti. Neppure la Lega vincente è al riparo dall’attuale fluidità e mobilità dell’elettorato. Su questo fenomeno incidono molti fattori: l’insoddisfazione di fondo del corpo elettorale per effetto della crisi economica, l’ingiustizia crescente, l’inadeguatezza delle istituzioni e delle leadership, nonché, elemento inedito nelle attuali dimensioni, la forza virale della comunicazione.
E’ come se ampie fasce di elettorato insoddisfatto, preoccupato, arrabbiato si agitassero in un cerchio senza uscita, passando, attraverso il voto, da un forno politico ad un altro, senza ormai vincolo di appartenenza.
La lettura dei risultati elettorali delle elezioni di comuni conosciuti e frequentati per decenni è un libro aperto su tali fenomeni: vi sono realtà tradizionalmente di sinistra, abbandonate a se stesse per molti anni, nelle quali si sono insediate, in vario modo, le destre, consolidando un loro seguito più per diffuse e incontrastate pratiche clientelari che per leadership politica. In altre realtà è evidente la concentrazione del voto sul candidato locale da parte di elettori ormai privi o svincolati da appartenenze politiche. In altre ancora anche l’elettorato di sinistra che per anni, pur lasciato a se stesso, ha continuato a votare a sinistra, con percentuali sorprendenti, ha finito per cedere nelle ultime tornate elettorali.
I flussi elettorali a favore di Cinque Stelle negli anni recenti hanno i segni della rassegnazione, della delusione, se non dell’indispettimento degli elettori già di sinistra, è segno del disorientamento di molti giovani e dei nostri elettori tradizionali più che di una diffusa e duratura conversione; L’improvviso tracollo in Sardegna ne è la conferma.
Ora è la stagione del successo elettorale della Lega, imperniato su una seminagione spregiudicata e demagogica di paure. Tuttavia anche il messaggio della Lega, non avendo la consistenza di una vera proposta politica in grado di rispondere ad aspettative di fondo di larghe parti dell’opinione pubblica, pare destinata a deludere e a declinare, sia pure in modo meno rapido, trattandosi di un partito ormai storico e organizzato.
Una conferma di quanto sopra la quota cospicua di astenuti che, in larga misura, non sono da annoverare tra gli “indifferenti” alle sorti del Paese, ma piuttosto elettori ripetutamente delusi e furibondi per l’inconsistenza dell’offerta politica e la mediocrità dei gruppi dirigenti, a fronte della drammaticità dei problemi locali e globali. In campagna elettorale è risultato palese che molti di questi elettori già di sinistra si considerano, a modo loro, dei “resistenti” e forse lo sono nel senso che, in difesa di un proprio sistema di valori non adeguatamente rappresentati dalla forze in campo, hanno scelto di astenersi. Penso che una quota di questa componente possa essere considerata “una riserva” per una sinistra che sappia accreditarsi come forza di cambiamento.
Il PSD’AZ: l’alleanza col centro destra non sembra aver rafforzato il Psd’Az come partito a sé. Una parte dei dirigenti e degli elettori hanno preso da tempo le distanze a seguito della scelta di alleanza con la Lega. Il Psd’Az ha poi lucrato una quota di consenso per il fatto di esprimere il candidato presidente. Per il resto il successo di Solinas pare dovuto più alla forza virale della Lega e al contributo di Forza Italia che a consenso proprio.
Il successo del Centro Destra credo sia dovuto anche alla conduzione spesso incolore del governo regionale, all’insufficienza di azioni forti e comprensibili, ai difetti di comunicazione, come per la riforma sanitaria, che ha finito per apparire sempre come un’azione contro i territori, contro il diffuso diritto alla salute e mai come reale miglioramento dei servizi.
E’ auspicabile un unico gruppo di opposizione: costituirebbe un’eccellente palestra nella quale i consiglieri dell’opposizione di sinistra potrebbero esercitarsi nel paziente confronto interno, nella mediazione, piuttosto che presentarsi frammentati e divergenti. Inoltre, sarebbe un esempio utile per le stesse forze di provenienza dei consiglieri.
Il voto europeo. La maggiore difficoltà della campagna elettorale sarà quella di saper “difendere l’Europa, ma non questa Europa”. Per farlo occorre trovare gli argomenti che convincano gli elettori passando dentro questa contraddizione. Sarebbe utile mettere in chiaro da subito le ragioni per cui l’attuale Europa non corrisponde agli interessi dei cittadini e delle aree più deboli. E quelle per cui l’Europa è pur sempre un’irrinunciabile opportunità in un mondo globale.
Insieme al progetto dell’Europa che vorremmo vanno argomentati i pericoli mortali derivanti dai nazionalismi e dai sovranismi dilaganti.
Nuoro, 16 Marzo 2019.
Mario Pinna