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Prime considerazioni sulla bozza di accordo per il comparto ovi caprino
di Pietro Tandeddu
In primo luogo va sottolineato, come elemento positivo, che il confronto è ripreso alla presenza del ministro competente, il ministro delle politiche agricole. Infatti non è la sede del Ministero degli interni la sede idonea per affrontare le tematiche attuali a cui competono i problemi di ordine pubblico, principalmente. Avrei capito se le parti fossero state convocate dal presidente del Consiglio a Palazzo Chigi. Con riferimento invece alla sede dove si è tenuta ieri la riunione, la Prefettura, il rispetto delle Istituzioni regionali avrebbe dovuto indicare, come sede naturale, viale Trento, essendo, tra l’altro, aperto da mesi un tavolo di discussione regionale.
In capo a tutto va ribadito il concetto, già espresso al ministro, che non basta affrontare l’emergenza, tema doverosamente prioritario, ma va, contestualmente, costruita una politica di prospettiva perché non abbia più a ripetersi ciò che ciclicamente il comparto è costretto a subire per effetto della sovra produzione di pecorino romano rispetto alla domanda, e per affrontare strutturalmente gli altri nodi che comprimono il comparto. Con riguardo alla sovra produzione registro un nuovo elemento: prima le crisi avevano un ciclo decennale, oggi, tendono a presentarsi entro un arco di tempo più limitato. Serve una politica che guidi le azioni necessarie chiamando ad una diversa responsabilità istituzioni, produttori, trasformatori, consorzi di tutela, istituti creditizi e finanziari.
Nel merito della bozza di accordo, che tutte le parti in causa hanno chiesto di sottoporre a verifica, entro i prossimi tre giorni, il primo elemento da evidenziare è che il prezzo del latte, per la prima volta nella storia, è ancorato al mercato reale e cioè ai prezzi periodicamente registrati sulla piazza di Milano dai formaggi. Per la verità, all’epoca della Giunta Soru si era sottoscritto un accordo (15 aprile 2005) in cui anche gli industriali, con la firma di Confindustria e Assolatte, avevano accettato di corrispondere un acconto e successivamente un saldo, basato sui prezzi riferiti a 4 tipologie di formaggio e non solo al pecorino romano (art. 6). Tale accordo, 6 mesi dopo, con nota di Confindustria veniva rinnegato. Sino ad oggi, quindi, gli industriali hanno sempre corrisposto un prezzo finito, fissato a dicembre, per una latte che andava a realizzare formaggi da vendere prevalentemente (per disciplinare il pecorino romano non si può vendere prima dei 5 mesi) nei mesi successivi. E’ chiaro che ci vuole l’indovino per sapere quali quotazioni avrà il formaggio a giugno e periodi seguenti. E’ stato detto più volte detto agli industriali che questo avrebberappresentato un rischio per loro e conseguentemente per i produttori;che la fissazione di un prezzo di acconto e poi un saldo che tenesse conto del mercato reale, era la migliore soluzione. Non si può continuamente affermare che il prezzo lo fa il mercato e poi ignorarlo e fare riferimento ad un mercato virtuale.
Il prezzo base di acconto di 72 centesimi è al disotto di quanto unitariamente indicato dalle Organizzazioni Professionali Agricole al Tavolo regionale presso l’Assessorato dell’agricoltura (77 centesimi IVA inclusa). Altri sembrano non smuoversi dalla richiesta di 1 euro subito. Ciò è tema di riflessione, così come andranno predisposte alcune simulazioni in ordine all’applicazione dei parametri di ancoraggio indicati. Avrei necessità di avere, nero su bianco, la griglia che evidenzi a quanto corrisponde l’aumento della remunerazione del latte al variare della crescita dei prezzi dei formaggi rilevati; più esattamente, a fronte di tot euro per Kg di formaggio (paniere sotto indicato) quale tot in centesimi aggiungere per litro latte. E’ senz’altro apprezzabile l’orientamento dei trasformatori a evitare svendite e l’impegno a non immettere sul mercato pecorino romano sotto una certa soglia, soglia capace di dare un segnale positivo.
I finanziamenti pubblici annunciati o bancari già erogati, rivolti all’acquisto di formaggi per gli indigenti o allo stoccaggio, in diverse forme, ammontano a 49 milioni di euro (10 dal Ministero dell’agricoltura, 14 dal Ministero degli interni - non so bene da quali poste di bilancio possano essere tratti - 10 già messi a disposizione del consorzio del pecorino romano dal Banco di Sardegna per l’acquisto dai soci di 20.000 ql di romano da stagionare per essere poi rivenduto come “pecorino romano stravecchio“, non ancora codificato dal disciplinare ma che punta ad una maggiore qualità come formaggio da tavola, 15 da parte della Regione). Sono convinto che tale cifra, piuttosto consistente, e tali interventi, consentiranno una ripresa del mercato in quanto si rende possibile il ritiro dal mercato di circa 80.000 ql. di pecorino. Al raggiungimento di 7,5 €/Kg sarà possibile remunerare il litro latte a 0,90 – 1 euro secondo l’efficienza dell’azienda trasformatrice.
Oggi non si può sottacere che la bozza di accordo indica come formaggi di riferimento solo i formaggi DOP. Va rimarcato che, stando ai dati dell’ultima campagna casearia, il pecorino romano rappresenta il 60% della produzione, le altre due DOP (fiore sardo e pecorino sardo) il 4%; resta un 36 % di altri formaggi che non vengono considerati. I prezzi di quest’ultimi, seppure non sbalorditivi, sono comunque superiori al prezzo attuale del “romano” oggi quotato mediamente a 5,53 €/ Kg. Una media ponderata tra tutte le tipologie porterebbe certamente a un prezzo più equo. E’ vero che andrebbe perfezionato il sistema di rilevamento prezzi per i formaggi “altri” da parte di Ismea, istituto sotto il diretto controllo del Ministero, ma a questo vi provveda appunto il ministro.
La proroga del programma di autoregolamentazione della produzione di pecorino romano, presentato dal consorzio di tutela e, a suo tempo, approvato dal ministero (per 280.000 ql., che è ancora sopra le reali possibilità di assorbimento nel mercato mondiale perché le attuali vendite mensili sono pari a 20.000 ql),risponde alla giusta richiesta di far coincidere il programma con l’annata casearia che da sempre ha inizio a ottobre (con la produzione laziale) e finisce il 31 luglio. Non ha senso fissarne la scadenza al 9 marzo.
Visto che non si rispettano le quote di “romano” assegnate dal consorzio, e che l’attuale contribuzione aggiuntiva disposta dallo stesso (16 centesimi/Kg) che dovrebbe penalizzare chi deborda, fa il solletico a industria privata e cooperativa (produzione nella scorsa annata pari a 341.000 ql.) è condivisibile “la definizione di misure di monitoraggio al fine di assicurare il rispetto delle quote”, ma ritengo che queste misure vadano meglio precisate. Al ministro va richiesto che approvi le linee guida per consentire un inasprimento delle penalità, che permetta al Consorzio il ritiro delle fascere, che imprimono il marchio,dopo il superamento della quota, perché oggi un trasformatore che abbia raggiunto la quota stabilita, può tranquillamente continuare a produrre e marchiare la produzione. Si studi infine come bloccare i benefici che l’industria casearia riceve, da diverse fonti, quando non si rispettino le regole.
Il Tavolo di Filiera previsto per il 21 febbraio, fermo dal 2008 anno in cui, richiesto dall’assessore Foddis, fu istituito dal ministro De Castro, va istituzionalizzato a norma di legge. Se l’istituzione del “registro telematico del latte ovicaprino” avverrà attraverso l’emanazione di un decreto, da tempo sollecitato, che faccia riferimento all’art. 151 del Regolamento UE n. 1308/ 2013 (OCM UNICA) il quale autorizza lo Stato Membro a rendere obbligatoria la comunicazione mensile, da parte dei primi acquirenti di latte, non solo vaccino per il quale si è già decretato, dei quantitativi di latte ricevuto, non possiamo che gioire. Francia e Spagna lo hanno fatto da tempo. Finalmente si potrà conoscere quanto latte effettivamente produciamo in Sardegna; non vi può essere programmazione senza conoscenza, come tutti sanno.
Dovranno essere precisate le iniziative da porre in capo all’ICE per l’internazionalizzazione del prodotto. La Regione ha approvato diverse misure per favorire l’internazionalizzazione delle imprese, ivi comprese quelle impegnate nel comparto lattiero-caseario. Poiché si è parlato del mercato cinese, va ricordato che in Cina esiste un mercato del latte ovino in polvere ma si dovrebbe conoscere quante imprese cinesi sono interessate al prodotto, per quali quantitativi e a quali prezzi. Per ora sappiamo che la società sarda Alimenta che fa capo al Gruppo Cualbu, lavora circa 3 milioni di litri di latte e con l’ingresso di un partner cinese, potrebbe, nel giro di qualche hanno raddoppiare la produzione. Riflettiamo però sul fatto che in Sardegna si producono, mediamente, 330 milioni di litri di latte ovino l’anno.
Va bene la costituzione della CUN (Commissione Unica Nazionale), cioè una commissione rappresentativa della filiera che dovrebbe definire periodicamente i prezzi di cessione, come oggi avviene per le carni suine. Non è stata accolta la proposta, invocata da alcuni, del commissariamento del consorzio del pecorino romano, tra l’altro con organi in scadenza in questi giorni. I consorzi di tutela, posti sotto il diretto controllo del Ministro, che ha fatto marcia indietro rispetto alle prime dichiarazioni, hanno compiti, appunto, di tutela, come la stessa denominazione indica, di controllo, verificando per esempio che non venga spacciato per romano prodotto che non è tale, di promozione del marchio, ma non ruolo economico. Se così fosse, allora anche il Consorzio dell’IGP Agnello di Sardegna, presieduto dal presidente di Coldiretti Sardegna (non me ne voglia Battista Cualbu) andrebbe commissariato in virtù del fatto che si è rilevato nel mercato un prezzo vile dell’agnello a peso vivo di 2€/kg. Ben venga il prefetto, “con compiti di analisi, sorveglianza e monitoraggio delle attività della filiera” e, aggiungo io, di supporto verso l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato già al lavoro per verificare presso il Consorzio (non mi sembra per la verità un soggetto che possa rispondere della violazione delle norme che l’Autority ha preso a riferimento, proprio per la natura del suo ruolo, come già precisato ) e verso le imprese casearie socie se sia stato rispettato il disposto dell’art. 62 della Legge n. 27/2012 e del suo decreto di attuazione (D.M. 19.10.2012, n. 199) che :” vietano al contraente più forte di imporre, direttamente o indirettamente, condizioni contrattuali, di acquisto o di vendita, ingiustificatamente gravose, ivi comprese quelle che determinino, in contrasto con il principio della buona fede e della correttezza, prezzi palesemente al di sotto dei costi di produzione medi dei prodotti oggetto delle relazioni commerciali e delle cessioni da parte degli imprenditori agricoli “. L’art. 2, comma 2, del D.L. 51/2015 demanda ad ISMEA il compito di elaborare dati mensili dei costi medi di produzione…). Non mi risulta che Ismea abbia elaborato nel passato dati mensili. Il ministro dia preciso indirizzo all’ISMEA per il rispetto della norma. Recentemente ha indicato in 70 centesimi/ litro il costo di produzione di un litro latte, esclusi però ammortamenti, tasse e imposte, interessi e beneficio fondiario che certamente fanno parte dei costi aziendali. Nel maggio 2018, in altro studio inerente lo stesso argomento, precisava che, nell’annata 2016-2017 (consideriamo che era un’annata particolarmente difficile) il costo medio accertato era di 1,12 euro/litro. Non sarebbe inopportuno,inoltre, che l’Autority accertasse se vi siano stati negli anni passati accordi di cartello perché appare a me alquanto strano che imprese di diversa dimensione e fatturato, con produzioni diverse che vanno dalla “monocoltura” ad una adeguata diversificazione, con costi differenti di trasformazione, con diversa organizzazione commerciale, con diversi mercati di riferimento, propongano, sostanzialmente, lo stesso prezzo di acquisto. Naturalmente ho presente che l’Autority ce l’ha data in testa più volte. Ultimo ricorso respinto è del 2011, presentato, con il sostegno delle Organizzazioni Agricole dall’Amministrazione Provinciale di Cagliari, presidente Graziano Milia.
Cagliari, 17 febbraio 2019