Sinistra Autonomia FederalismoRipartiamo dalle idee e dai territori
Dalle regionali sarde al futuro dell’Europa: la sconfitta dell’oggi e la ripartenza del domani
di Bruno Concas
Il titolo non vuole essere un tentativo di addolcire una sconfitta molto netta o, ancor meno, la ricerca di un buon finale, ma vuole evidenziare il dovere di guardare avanti, senza buttare via i fatti positivi emersi nel mese appena trascorso e con l’obiettivo di modificare dalle fondamenta tutto ciò che è andato storto in questi anni.
Tante sono state le analisi di questo voto e tanti sono stati i dati presi in considerazione che, per motivi di spazio e di autorevolezza dell’autore, non verranno interamente richiamati. Del risultato delle tre forze principali, rispetto al 4 marzo, due di questi sarebbero stati difficilmente immaginabili: il crollo del Movimento 5 Stelle in Sardegna e, seppure con differenti ordini di grandezza, un prepotente ridimensionamento a livello nazionale e la tenuta del centrosinistra, sulla quale è il caso di concentrarsi.
Da cosa è stata data la tenuta dal centrosinstra? Certamente si può dire per la qualità e l’autorevolezza del candidato Massimo Zedda, capace di unire un campo estremamente diviso e di riportare entusiasmo sull’esempio del buongoverno cagliaritano. L’autorevolezza e i meriti del candidato sono certamente indiscutibili e hanno evidenziato al contrario la debolezza dello schieramento ma a questo deve aggiungersi un altro fattore a mio avviso particolarmente rilevante sia in Sardegna che in Abruzzo, come evidenziato da Damilano e altri anche in riferimento all’inattesa partecipazione alle primarie del PD, ovvero un popolo che in uno dei momenti più difficili della storia della sinistra italiana ha deciso di caricarsi sulle spalle e dare forza a uno schieramento prima agonizzante, con il tentativo di rivitalizzare ciò che sembrava destinato a una morte rapida e dolorosa.
Questo dato è a mio avviso una base da cui ripartire, e forse la più importante ragione per la quale, in questo mondo grande e terribile, chiunque abbia a cuore le sorti della sinistra e chi ha l’onore di avere dei ruoli di primo piano ha l’obbligo di rafforzare il suo impegno e di non disperdere un segnale di speranza che un popolo intero ha voluto offrire e che sarebbe un delitto non cogliere.
Però questo grido di speranza, oggi più di ieri, non è un assegno in bianco ma ha delle condizioni ben chiare e, se non raccolto, rischia di essere l’ultimo. Per raccoglierlo non serve semplicemente trovare un ottimo candidato o scrivere un bel programma di governo ma serve riscoprire una dimensione valoriale all’altezza delle sfide gravose che il nostro tempo ci pone. Se non fosse stato sufficientemente chiaro in passato, questo ultimo anno ci dice che senza un’identità forte una forza politica è destinata a scomparire. La Destra, in Italia come nel resto dell’Europa, è cambiata e ha mutato le sue parole chiave in risposta agli effetti più duri della Globalizzazione. La Destra liberale ha lasciato il posto a una Destra sovranista con obiettivi definiti e avversari chiari, la dissoluzione dell’Unione Europea, il ritorno alle piccole patrie, la cittadinanza come unico requisito per i diritti. Obiettivi drammatici ai quali la sinistra, a livello europeo e globale, ha risposto timidamente, con una difesa dell’esistente senza visione critica del futuro, con una fiducia indistinta nella globalizzazione senza immaginare un nuovo protagonismo dello stato e con una grande incapacità di lettura di ciò che nella società stava profondamente cambiando nelle sue fondamenta. I Giovani di tutto il mondo occupano le piazze per salvare il pianeta da uno sviluppo senza freni e senza morale, chiedendo equità e una diversa redistribuzione della ricchezza, senza combattere la globalizzazione ma non accettando le sue più drammatiche storture e chiedendo agli stati una sicurezza sociale intesa come un nuovo welfare che protegga le emergenti fasce di povertà e non come repressione o come sicurezza fai da te. Di fronte a questi cambiamenti epocali la sinistra ha bisogno di un nuovo protagonismo che le permetta di riportare i valori fondanti della sua storia al centro dell’azione politica, dal più piccolo comune della Sardegna all’intero vecchio continente, affinché a reggere le sue sorti non sia il solo buongoverno e l’ottima qualità dei suoi amministratori (tanti in tutto il nostro paese) ma un sogno di riscatto per il nostro continente, il nostro paese e la nostra regione per evitare un ritorno a un non glorioso passato, con il quale a perdere maggiormente sarebbero proprio le persone più a margini che la sinistra ha il dovere di tutelare.
Per questo la risposta non può che avere un respiro globale, perché globali sono le dimensioni e le ragioni delle disuguaglianze: disuguaglianze tra generazioni, tra i paesi e all’interno dei paesi stessi, disuguaglianze nelle possibilità, nelle aspirazioni.
Per fare tutto questo non bastano operazioni del passato e non basta neppure l’unità, pur necessaria, tra le classi dirigenti ma serve un chiaro progetto politico del futuro che recuperi l’idea che la lotta politica possa essere lo strumento per cambiare i destini e non solo per smussare le ingiustizie più atroci. Serve coraggio nell’offrire ai cittadini europei una chiara riforma delle istituzioni e di paradigma politico che permetta all’Unione di essere il luogo nel quale combattere le peggiori pieghe di questi anni, come il dumping sociale e salariale, e nel quale poter rispondere alle sempre più forti ed emergenti richieste di protezione sociale contro le storture peggiori del mercato. Serve riscoprire un internazionalismo di pensiero e azione delle forze socialiste che immagini un nuovo modello di sviluppo e di riconversione ecologica dell’economia che assicuri un futuro al pianeta e delle possibilità di occupazione di lungo termine ai suoi abitanti.
Serve insomma, in Sardegna come nel resto dell’Europa e del mondo, un nuovo pensiero dell’uguaglianza all’altezza dei sogni e delle speranze di un’intera generazione che non si vuole arrendere al pessimismo della ragione ma che continua a credere nell’ ottimismo della volontà.