Sinistra Autonomia FederalismoRipartiamo dalle idee e dai territori
Appunti per la relazione introduttiva all’Assemblea sulla piena e buona occupazione - Laura Pennacchi
1) La crisi esplosa nel 2008 non può dirsi davvero finita. Il debito globale (172mila trilioni di dollari) è in aumento con rischi crescenti (corporate bond con rating speculativo e con minore protezione contrattuale; il risparmio è gestito senza adeguate regole di prudenza). La ripresa mondiale ha basi estremamente fragili; il motore della ripresa è drogato dal debito e dall’accumulo di bolle (immobiliare, finanziaria); la stessa politica monetaria delle Banca centrale (quantitative easing) ha generato effetti controproducenti in quanto ha messo a disposizione liquidità che è stata indirizzata verso la speculazione invece che verso gli investimenti. Ė a questo scenario che allude Summers quando definisce il nostro come un tempo di “secular stagnation”, cioè di persistente stagnazione o di debole crescita alimentata da indebitamento malsano e da nuove bolle che costituiscono la premessa per nuove crisi. Occorre inoltre tenere presente gli effetti dell’innovazione tecnologica sulla distruzione di lavoro con il rischio della jobless society, cioè di una società senza lavoro.
2) L’economia mainstream - base del neoliberismo che ne ha estremizzato alcuni cruciali capisaldi - deve fare i conti con il non aver saputo ieri prevedere la crisi, oggi gestirla con efficacia, efficienza, equità, avendo generato con le politiche di austerità restrittiva - in cui si è distinta l’Europa - esiti controversi sotto tutti i punti di vista. Ma anche il pensiero progressista non può non misurarsi con l’incredibile resilienza del neoliberismo stesso, con il fatto che il suo fallimento teorico - acclarato dalla crisi che, secondo i suoi presupposti, non avrebbe potuto accadere - non ha coinciso con la sua “resa pratica” perché esso, anzi, continua imperterrito a orientare molte scelte e politiche, specie europee. Come una potente innovazione analitica scaturente dalla rottura roosveltiana e keynesiana, fu essenziale per uscire dalla Grande Crisi degli anni Trenta, così oggi è necessaria una rivoluzione teorica da cui trarre idee e terapie alternative.
3) Laura Pennacchi si misura nel libro Il soggetto dell’economia con il dibattito sulla stagnazione secolare e sostiene che la tesi della stagnazione “ come il prodotto della politica neoliberista la quale, dunque, va messa specificamente a fuoco, in quanto producente un’economia che, autocannibalizzandosi attraverso la sperequazione disugualitaria dei redditi e l’indebitamento, ha necessità per crescere della riproduzione ininterrotta di grandi bolle speculative.” L’Autrice con queste analisi e conclusioni, si distacca dagli autori più classicamente marxisti che considerano la crisi come inerente al capitalismo. Nel libro si misura con la sfida della riforma del capitalismo nella presente situazione.
4) I processi di fondo del neoliberismo sono da identificare nella finanziarizzazione, commodification (mercificazione) e denormattivizzazione dell’economia e della società. Ciascuno di questi processi deve essere identificato e analizzato a fondo. Su questi temi si sono misurati autori come Minsky, Meade e altri. Già la socialdemocrazia svedese, con Meidner, aveva paventato negli anni settanta , che il capitalismo incubasse una problematica intrinsecamente distruttiva dell'investimento produttivo. Nel contesto attuale la ipertrofia e la autonomizzazione della finanza, pur molto antiche, hanno assunto una potenza inedita. La mercificazione ha portato a ricondurre al mercato anche aree che un tempo erano considerate estranee al calcolo di profittabilità privata. Le denormativizzazione ha il carattere dirompente della sostituzione del contratto privato al valore della Norma e della Legge.
5) Ai processi di finanziarizzazione, commodification e denormativizzazione bisogna opporre un movimento per politiche di definanziarizzazione, decommodification e di rinormativizzazione.
6) Il tema di fondo è il rapporto fra pubblico e privato. Dobbiamo reinterrogarci sulle categorie di “pubblico” e di “statuale”. E’di assoluta preminenza ribadire il rilievo della mediazione istituzionale e la crucialità del pubblico. Ma non ci si può sottrarre nemmeno al ribadire l’importanza dello Stato e dello statuale, anche se esso non può che avvenire ad una scala europea, lavorando per un Europa politica, migliore di quella “matrigna” prevalsa con l’austerità deflattiva. La questione del rapporto Stato- mercato torna centrale. Ci si chiede quale nuovo intervento pubblico si renda necessario, quale nuova idea di politica economica, micro e macro, si debba adottare.
7) La connessione tra “rilancio dell’interesse pubblico” e la “riscoperta” del lavoro non c’é nel combinato disposto della flat tax e del reddito di cittadinanza posta al centro del governo Lega e Cinque Stelle.
8) Occorrerebbe un eccezionale sforzo progettuale partendo dalla constatazione che la disoccupazione di massa è la conseguenza diretta della politiche neoliberiste e non un semplice “fallimento del mercato”. Non casualmente Papa Francesco conclude che questa economia uccide. È richiesto non solo uno Stato, ma uno Stato strategico che non si limita a neutralizzare i fallimenti del mercato, che inventi, idei , crei lungo tutta la catena dell’innovazione, uno Stato che, oltre che indirettamente- mediante incentivi, disincentivi, regolazione - intervenga direttamente, cioè guidando intenzionalmente e esplicitamente con piani e programmazione. E ciò è tanto più urgente oggi che la strutturalità della crisi fa avanzare l’esigenza di un’analoga strutturalitá nel ridisegno della composizione della produzione e del modello di sviluppo, con economie che vanno rimodellate dalle fondamenta.
9) C’è una rottura da operare non soltanto con il concetto di antistato del neoliberismo, ma anche con la più o meno larvata diffidenza verso l’intervento pubblico coltivata pure tra varie forze di centrosinistra, incapaci di ragionare e di parlare in termini di “teoria” dello Stato e delle istituzioni pubbliche.
10) Per invertire processi che hanno portato alla catastrofe del lavoro serve un “nuovo modello di sviluppo” intriso di “neoumanesimo” che abbia come perno la “piena e buona occupazione”. Bisogna farlo nell’acuta consapevolezza della rivoluzionarietà di questo obiettivo rispetto al funzionamento spontaneo del capitalismo che non crea naturalmente occupazione e, anzi, è predisposto per la società senza lavoro. Deve essere rovesciato il paradigma analitico e teorico: non rilanciare la crescita (quantitativa) per generare lavoro ma creare lavoro per rilanciare lo sviluppo, di qualità e sociale. Bisogna socializzare l’investimento e socializzare l’occupazione fatto che implica fare dello Stato l’employer of last resort, cioè il datore di lavoro di ultima istanza.
11) La grande spinta da parte dello Stato (inteso come Europa e tutte le altre pubbliche istituzioni di governo e amministrazione) verso la piena e buone occupazione deve esprimersi in primo luogo in investimenti pubblici ad alta intensità di lavoro sui beni pubblici, sui beni comuni e sui bisogni sociali insoddisfatti (territorio, ambiente, città, periferie, tempo libero, bambini etc) che premiano i consumi collettivi su quelli individuali e privilegiano la domanda interne sulle esportazioni. Occorre insomma una politica che nel contesto attuale, abbia il respiro di ciò che fu il new deal dopo la grande crisi. Nella costruzione di “un nuovo modello di sviluppo” valori e fini tornano a costituire le stelle polari dell’agire per costruire una società più democratica.
N.B. questi appunti sono la trascrizione dell’intervento svolto da Laura Pennacchi sulla base di una scarna traccia; per gli approfondimenti si consiglia in particolare, il libro “Il soggetto dell’economia”, edizioni EDIESSE.
Cagliari 26 novembre 2018