Sinistra Autonomia FederalismoRipartiamo dalle idee e dai territori
Nei giorni scorsi mi è accaduto, girando un po’ per i social, di trovare delle polemiche forti, in relazione a vicende recenti, sul rapporto tra etica e legalità. Ho visto che sono di gran lunga più frequenti le affermazioni secondo cui l’etica viene prima della legalità, che la morale deve prevalere sul diritto.
Mi sembra utile una riflessione su questi aspetti, in un tempo come l’attuale in cui spesso il principio di legalità, di rispetto della legge, sembra cedere di fronte a esigenze sostanziali di volta in volta prospettate come non rinunciabili.
Proprio in questi giorni ho avuto anche l’occasione di leggere un libro (Giustizia e Mito: Edipo, Antigone e Creonte) scritto a quattro mani da Marta Cartabia, giudice costituzionale – vicepresidente della Corte – studiosa del diritto pubblico, e da Luciano Violante, la cui biografia è nota (magistrato, poi professore di diritto penale, politico ecc. ).
Cartabia e Violante hanno voluto rileggere due tragedie di Sofocle, l’Edipo Re e l’Antigone, con l’ottica propria del giurista, che è un’ottica poco usuale rispetto a quella degli studiosi delle due tragedie. Hanno voluto verificare soprattutto se ci sia un rapporto tra l’idea di diritto che emerge dalledue opere e l’idea, le idee di dirittonella cultura attuale. È una prospettiva interessante perché riguarda aspetti profondi della cultura occidentale.
Il problema, nel libro, è affrontato soprattutto con riguardo al personaggio di Antigone: Antigone, che persegue fino alla propria morte il diritto di seppellire il fratello invocando le leggi superiori degli dei, e lo fa contro la legge della città, contro la legge del re, di Creonte, che ha deciso invece di lasciare Polinice insepolto perché traditore.
Nell’Antigone si oppongonodue principi, prospettati come antitetici: quello della legge divina, eterna e immutabile, invocata dalla protagonista, e quello della città, la qualedifende sestessa.
Nella tragedia greca -lo sottolineano gli autori - la dimensione del diritto, da un lato e, dall’altro, quella della morale e della religione sono sempre in relazione tra loro, ma allo stesso tempo “sono irriducibili l’uno alle altre”, sono irrimediabilmente in conflitto.
Invece nell’epoca moderna-scrivono Violante e Cartabia - “tutti i rapporti morali, giuridici e politici confluiscono nella medesima idea di legalità, sicché tende ad apparire giusto ciò che è conforme alla legge”.
In sintesi (mi esprimo – come è evidente – soltanto per grandissime linee) può dirsi dunque che l’idea di diritto che traspare nelle tragedie è profondamente diversa da quella di oggi.
E tuttavia non è sempre avvenuto, neppurein epoche molto vicine a noi, che ciò che è conforme alla legge sia “giusto”, fosse“giusto”.
Non si può dimenticare, infatti - e viene ricordato nel libro che ho citato-comeanche poco prima di oggisi siano attraversate epoche tragiche di ingiustizia della legge (ovvio ricordare le leggi razziali tedesche e italiane). Equindi neppurein epoche a noi vicineil percorso del rapporto tra etica-diritto è sempre stato lineare e progressivo.
Va anche detto - e non è la cosa meno importante – che, purtroppo, anche in epoche vicine è accaduto che il giudizio di massa su leggi ingiuste fosse un giudizio positivo, di adesione totale, acritica e talvolta anchefanatica;è avvenuto che, per effetto della manipolazione del sentire comune da parte del potere, leggi profondamente ingiuste fossero percepite dalla generalità come giuste, necessarie.
Io credo però che se ci riferiamo a quanto accade qui, oggi, in Italia, se guardiamo alla realtà attuale del nostro ordinamento giuridico democratico, la contrapposizione tra morale e diritto può dirsi superata.
È superata anzitutto perché in Italia il diritto dello Stato deriva da un patto tra i cittadini, recente - ha poco più di 70 anni - dopo la vittoria sulla dittatura. La Costituzione nasce da questo patto, e ha accolto e consacrato nella legge principi etici larghissimamente condivisi, laici, nel segno della libertà, del rispetto e dello sviluppo della persona.
Sembraanche di poter direche la Costituzione italiana è una legge percepita come buona dalla gran parte dei cittadini, per i suoi contenuti enella sua funzione di vincolo per il potere, per i poteri, dello Stato (anzitutto per quello legislativo, e per gli altri).
Circa il rapporto tra etica e legge, di cui parlavo all’inizio, sembra che si possa concludere, alla luce di questa Costituzione, che nel principio di legalitàsono sintetizzati e coesistono entrambi gli aspetti, l’etica e la legge, tra i quali non sono consentite classifiche di valore. Il principio di legalità, dunque, èormai il criterio principe della condotta delle istituzioni e dei singoli.
Il problema che sta diventando grave è un altro:è la tendenza all’abbandono di quel principio nei fatti, nelle prassi. Oggi purtroppoè forte in Italia la tendenza a violazioni importanti della legalità costituzionale e dei valori etici di cui questa è intrisa, e ciò avviene per scopi politici contingenti di chi è al governo.
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Le violazioni della Costituzione possono avvenire, e avvengono, attraverso modalità e strumenti diversi.
Una prima modalità è quella della diretta violazione di norme costituzionali di portata immediatamente precettiva; di quelle norme, cioè, la cui applicazione non richiede l’adozione di norme di legge ordinaria. Si pensi all’art. 32 della Costituzione, che attribuisce alla persona il diritto di rifiutare le cure mediche non volute. Se la persona è cosciente può far prevalere la propria decisione su quella dei medici, senza bisogno di ulteriori norme (le cosiddette DAT - disposizioni anticipate di trattamento - previste da una recentissima legge ordinaria attuativa della Costituzione, sono state previste invece per il momento in cui l’ammalato non sarà cosciente). Eppure è avvenuto a lungo che la volontà della persona cosciente fosse disattesa, anche per effetto di condizionamenti di carattere confessionale nei confronti del personale sanitario.
Una seconda modalità è quella dell’approvazione di leggi che contengono nuove norme, contrastanti con i principi costituzionali.
Un processodi questo tipo è probabilmente già in atto: il decreto legge Salvini, ad esempio, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 4 ottobre, contiene norme sospettate di incostituzionalità. I dubbi riguardano in particolare l’abrogazione dei permessi di soggiorno per motivi umanitari, sostituiti da permessi per gravi motivi di salute e per meriti civili, e in generale le norme sull’immigrazione. Tra l’altro riguardano anche il raddoppio dei tempi di trattenimento nei Centri per il Rimpatrio.
È importante sottolineare un problema generale: il nostro ordinamento prevede che le norme (ovviamente, anche le norme nuove) costituzionalmente illegittime possano essere impugnate davanti alla Corte Costituzionale; ma non esiste una impugnazione in via principale (salvo che per i giudizi di attribuzione tra organi dello Stato): i soggetti interessati non possono andare direttamente davanti alla Corte. L’impugnazione può avvenire soltanto nell’ambito di un procedimento giudiziario, civile, penale o ammnistrativo, nel quale sarà il giudice a investire la Corte della questione, se la ritiene rilevante. L’iter è quindi complesso e i tempi non brevi. Nel frattempo, la legge illegittima continua a operare, fino allapronuncia della Corte Costituzionale.
Una terza modalità è costituita dalla violazione, da parte degli organi dello Stato, in particolare da parte degli organi dell’esecutivo, delle norme ordinarie esistenti, di diritto interno o di diritto internazionale, da cui derivi la violazione di principi costituzionali. Questa modalità di violazione della Costituzione avviene a ordinamento giuridico immutato. Il quadro delle norme cioè rimane fermo, ma si viola la Costituzione attraverso la concreta violazione delle norme di legge ordinaria informate ai principi costituzionali, e quindi espressioni, che sarebbero intangibili, di quei principi.
In questo ambito è esemplare – purtroppo – la vicenda della nave Diciotti.
Vale la pena di soffermarsi su questo caso di violazione della Costituzione che è avvenuto attraverso la violazione di norme ordinarie, anche di diritto internazionale.
È un caso importante soprattutto per due aspetti: perché è stato offeso gravementeil principio costituzionale di habeas corpus, della libertà personale, e inoltre, su un altro piano, per il modo in cui una parte dell’opinione pubblica ha condiviso le scelte dell’esecutivo.
Credo si possa dire che, questa volta, è stato accettato da una parte larga dei cittadini un modello di comportamento paradossalmente proposto e percepito in qualche modo come etico, anche se di un’etica distorta, rovesciata. Le parole d’ordine “Fermiamo l’invasione”, “Prima gli italiani”, “Basta con la pacchia dei profittatori”, e simili, sono pur sempre proposizioni che nella loro formulazione affermano, quanto menoimplicitamente, un carattere etico dei principi che vengono richiamati, e coinvolgono l’opinione pubblica in un’accettazione di quelle scelte distorte.
La vicenda della Diciotti conferma quanto sia pericoloso, in generale, in un regime democratico, prescindere dal principio di legalità dando spazio, come criterio di condotta nell’interpretazione e nell’applicazione della legge, a valutazionie finalità chesono, per loro natura, opinabili e soggettive.
Qualche parola sulla vicenda sul piano del merito. Si èdiffusa la convinzione che il ministro Salvini sia stato ormai definitivamente scagionato ad opera del Tribunale dei ministri di Palermo.
Non si dispone ancora del testo dell’ordinanza, ma sulla base di univoche notizie di stampa può dirsi che la portata della decisione sia molto più ridotta.
Il procuratore di Agrigento aveva ritenuto che il comportamento illegittimo del ministro dell’Interno fosse iniziato nelle acque di Lampedusa, e ha perciò aperto un fascicolo e trasmesso gli atti al Tribunale dei ministri palermitano (che ha giurisdizione sul territorio di Agrigento-Lampedusa ).
Il tribunale di Palermo, dopo avere eseguito una serie di accertamenti (che il PM di Agrigento per legge non poteva fare), ha deciso che nelle acque di Lampedusa non siano stati commessi reati ministeriali: il trattenimento della nave al largo era la conseguenza - ha affermato - di una questione di competenza apertasi con Malta, nella cui zona Sar era avvenuto il salvataggio. Secondo il Tribunale in quel caso è stato perciò tutelato un interesse italiano al rispetto delle regole.
Naturalmente il tribunale ministeriale di Palermo non ha potuto escludere, non essendo territorialmente competente, che a Catania (porto di approdo scelto successivamente, come era suo compito, dal ministro dei TrasportiToninelli) possa, invece, avere avuto inizio la commissione di reati da parte del ministro dell’Interno. Perciò gli atti sono stati trasmessi a Catania per competenza.
La valutazione spetta adesso al procuratore della Repubblica di Cataniae ai suoi sostituti e poi, per la decisione finale, al Tribunale dei ministri. A prescindere dalla previsionedi quale sarà l’esito del procedimento davanti ai magistrati di quella città, può ritenersi altamente probabile che al Senato, nel quale il ministro Salvini è stato eletto, prevarrebbe comunque una maggioranza contraria al rinvio a giudizio. Può quindi prevedersi con sicurezza che un dibattimento contro Salvini davanti a un tribunale dello Stato non si farà mai, come lui sa bene fin dall’inizio della vicenda (la quale è stata ed è perciò oggetto di irrisione anche da parte dello stessoministro interessato).
In quel caso l’accertamento della legalità sarebbe quindi impedito per via politica, come una legge costituzionale consente in una logica di garanzia per gli organi elettivi.
Ma anche in casi nei quali non è previsto uno scudo politico-istituzionale non è agevole la reazione dell’ordinamento giuridico di fronte agli abusi di organi delle istituzioni, sia per la mancanza di strumenti adeguati, sia per il funzionamento insufficienze dei meccanismi repressivi (pensiamo alle inefficienze del sistema giudiziario, forse non a caso trascurate)
Resta il dovere, tornando a vicende come la Diciotti, di non tacere sulle palesi violazioni commesse a Cataniain danno delle persone tenute in ostaggio per giorni e giorni su quella nave, in condizioni igieniche e ambientali drammatiche.
Un rilievo, anzitutto: non si trattava di “irregolari” o di “clandestini” (che pure non sono, neppure essi, privi di diritti). Si trattava di persone salvate secondo le leggi del mare (il natante imbarcava acqua e sarebbe affondato), e perciò tuttecertamente titolari di diritti costituzionalmente e immediatamente protetti. Il ministro dei trasporti Toninelli aveva esercitato la sua competenza, quale vertice dell’Esecutivo cui fa capo la Guardia Costiera, indicando per l‘approdo il porto di Catania. Il ministro dell’Interno, Salvini, ha vietato non l’approdo a Catania (fin qui, ha rispettato le competenze), ma lo sbarco dei passeggeri.
È pacifico, per gli studiosi di diritto della navigazione, che il ministro di Polizia può vietare lo sbarco soltanto per specifiche ragioni di ordine pubblico (nella specie, poteva farlo se si fosse trattato di facinorosi che, sbarcati, avrebbero messo la città Catania a ferro e fuoco). Salvini non ha neppure tentato di prospettare quel pericolo. Ne ha fatto esplicitamente una questione di rapporti con l’Unione Europea, e ha quindi impedito per circa una settimana lo sbarco di circa 140 persone (inizialmente anche di30 minori non accompagnati, che avevano comunque il diritto di restare in Italia, e sono stati liberati soltanto per intervento giudiziario) nell’ambito di un contenzioso politico internazionale di ardua soluzione. Ha utilizzato quelle persone, private della libertà, alla stregua di ostaggi per forzare la volontà dei partner europei. Ha espressamente dichiarato di voleresercitare una pressione, in generale, sulla Unione Europea al fine di ottenere una modifica degli accordi (ma con lo scopo reale di guadagnare consensiin Italia per la sua parte).
Perciò quelle persone, che per la legge internazionale avevano il diritto, dopo il salvataggio, di essere curate e di richiedere asilo (richiesta presumibilmente fondata per la gran parte, trattandosi prevalentemente di Eritrei, vittime di unregime feroce), quelle persone, secondo la volontà del Ministro dell’Interno, erano destinate a restare sulla piccola nave, fornita di due soli gabinetti, sopra una lamiera rovente di giorno e bagnata di notte, per un tempo indefinito. Se tre governi stranieri “volenterosi” non si fossero mossi a compassione, quelle persone potrebbero essere ancora a Catania sulla nave Diciotti. Questo aveva promesso il Ministro dell’Interno.
Secondo l’etica rovesciata a cui ho fatto cenno prima, alla quale sembra stia aderendo un grande numero di Italiani, quella scelta è stata ritenuta giustificata, opportuna, necessaria.
Temo si possa dire che ormai in non poche democrazie occidentali i diritti costituzionali valgono e sono celebrati per i cittadini (e perciò le costituzioni dai cittadini sono considerate “buone”), ma si degradano e vengono violati, quei diritti, quando arrivano gli ultimi della terra a insidiare il privilegio degli abitanti della piccola parte fortunata del mondo.
Nella nota di presentazione di questo convegno sono indicati molti altri fatti in cui si è concretato l’attacco allo stato di diritto. Per ragioni di tempo devo limitarmi a quanto ho detto fin qui. Mi soffermo un momento ancora soltanto sull’attacco alla stampa;la quale, secondo la vulgata corrente, andrebbecontrollata, fermata, addirittura eliminata perché “dice bugie”. Inutile sottolineare la profonda incultura di chi ignora la funzione della libera stampa, e il pervicace atteggiamento illiberale di chi non la ignora e proprio per questo la attacca.
L’attacco si realizza anche attraverso il tentativo di abolizione dell’Ordine dei giornalisti. Ne parlo perché anche questaè un’aggressione ai diritti di libertà molto preoccupante, non suscettibile - credo - di essere fermato con i soli rimedi istituzionali. La Corte Costituzionale, con la sentenza numero 38 del 1997, ha affermato infatti, da un lato, che l’Ordine ha il «compito di salvaguardare, erga omnes e nell’interesse della collettività, la dignità professionale e la libertà di informazione e di critica dei propri iscritti», ma ha tuttaviadichiarato ammissibile il referendumabrogativo allora proposto (poi fallito per mancanza del quorum), sostenendo che l’esistenza dell’Ordine non sia costituzionalmente obbligata. Èuna pronuncia che potrebbe essere in futuro disattesa dalla stessa Corte, ma per ora si devono fare i conti con quell’orientamento, non tranquillizzante, forse caratterizzato da una contraddizione: la Corte costituzionale sottolinea, da un lato, la funzione essenziale dell’Ordine per la realizzazione dei fini fondamentali, che si possono ritenere costituzionalmente rilevanti, di verità e di libertà enunciati nell’art. 2 della legge n. 69 del 2003 sull’ordinamento della professione di giornalista (ricordiamoli: “E’ diritto insopprimibile dei giornalisti la libertà di informazione e di critica […] ed è loro obbligo inderogabile il rispetto della verità sostanziale dei fatti […]); ma afferma al contempo che l’organismo di tutela, l’Ordine, non ha valenza costituzionale, e quindi la sua esistenza non può essere difesa in un giudizio di legittimità.
Non è un caso che gli attacchi a quell’organismo siano ormai sempre più aspri e scomposti. Ma finora la libera stampa ha dimostrato di avere al suo interno una capacità di difesa non corporativa.
Alla luce di questa considerazione, e di quelle, più generali, che precedono, mi sembra che si possa formulare una conclusione di fondo: lo stato di diritto ha strumenti di difesa formali, istituzionali, che però da soli non sono sufficienti. È necessaria una risposta adeguata sul piano della politica, una risposta persuasiva, che arrivi ai cittadini come espressione di principi, di cultura, di progetti e non come mera contrapposizione di parti e di interessi.
Cagliari, 25 ottobre 2018