Sinistra Autonomia FederalismoRipartiamo dalle idee e dai territori
Anzitutto ringrazio gli organizzatori per l’invito e, come componente del Consiglio Direttivo della Sezione Sardegna dell’INU, approfitto per informare che, in preparazione del prossimo Congresso Regionale 2020, si sta promuovendo una serie di Laboratori Territoriali INU per porre l’attenzione sulle tematiche politiche e urbanistiche locali da portare all’interno del dibattito congressuale. Per coincidenza, il primo Laboratorio si svolge proprio oggi a San Vero Milis, nella sede dell’Unione dei comuni Montiferru Alto Campidano, per il quale, secondo il metodo dei laboratori, è stato proposto un tema aperto (Territorio e sviluppo- Idee per la Sardegna), per raccogliere molteplici contributi e diversi punti di vista. Questa coincidenza temporale (del Laboratorio INU e del Convegno organizzato qui, ad Armungia), può, da un lato, rammaricare perché molti interessi si sovrappongono e potrebbe essere importante integrare e moltiplicare gli effetti; ma dall’altro può anche consolare per la testimonianza che c’è ancora, nonostante tutto, una diffusa attenzione alle questioni territoriali. Sono, in ogni caso, convinto che gli argomenti trattati in questa giornata con profondità e competenza, possano essere molto illuminanti per il percorso di conoscenza e riflessione che L’INU Sardegna si è proposto per questi prossimi mesi; personalmente auspico che, compatibilmente con le forze esigue di cui dispone la Sezione, si possa anche rivederci prossimamente in questi luoghi per un laboratorio territoriale INU.
Tenterò però anche di dire qualcosa sulle tematiche di questo convegno, partendo dagli stimoli che la giornata di oggi ha offerto, non solo per il richiamo ai numerosi problemi che si accavallano all’orizzonte ma anche per le riflessioni più generali suggerite. Problemi individuati da tempo, non come ipotetiche previsioni ma come dati certi e documentati: Il decorso critico dello spopolamento delle aree interne per la Sardegna è stato evidenziato dalla sezione sarda dell’INU da più di un ventennio; le differenze macroscopiche tra gli andamenti demografici delle diverse aree del pianeta, così come i crescenti disequilibri economici sono noti e costantemente illustrati da tempo in diversi rapporti dell’ONU; i flussi migratori conseguenti non sono solo tempeste semplicemente annunciate ma sommovimenti globali già in atto; e al quadro di queste criticità demografiche e socioeconomiche si aggiungono quelle ambientali e, con particolare rilievo, i diversi orizzonti catastrofici connessi ai cambiamenti climatici, ormai praticamente accertati, come la desertificazione, (studiata anche per la Sardegna da Angelo Aru) o lo scioglimento dei ghiacciai e delle calotte polari con l’innalzamento del livello del mare, preoccupante non solo per le nostre importanti zone umide ma anche per l’insediamento urbano costiero. Questioni poste anche con la tensione morale dell’Enciclica di Francesco “sulla cura della casa comune”, come è stato ricordato stamattina dal Tenore di Orgosolo e ormai così diffuse da smuovere le più sensibili coscienze adolescenziali anche nella nostra regione, (c’è basca in Alaska) speriamo non solo il venerdì.
A questo quadro di problemi, si deve però aggiungere quello che è il problema più grave, forse l’origine di tutto: l’inadeguatezza delle forme e dei processi (e degli uomini) di governo a qualsiasi scala del sistema, dalle configurazioni internazionali a quelle nazionali e locali. Un gravoso impegno aspetta gli amministratori; si è vista l’attenzione e la simpatia con la quale la sala ha seguito e applaudito l’intervento del giovane Danilo Piras, al quale certamente non mancano entusiasmo e lucidità, a testimonianza del fatto che si riconosce dove stanno le residue speranze; ma la riflessione critica che siamo invitati a fare dall’introduzione di Giangiacomo Ortu impone di essere consapevoli, come è detto, che le cose sono complicate e difficili e che riguardano gran parte del nostro modo di pensare.
L’idea che quasi ogni azione umana si ripercuota con molteplici effetti sull’intero pianeta -per la dimensione raggiunta dalla popolazione (7 miliardi, in marcia verso i dieci della nuova era che si è proposto ci chiamare “antropocene”) e per il livello di interconnessione del mondo globalizzato- non ha, almeno fino ad ora, generato culture e politiche adeguate e gli slogan o i principi teorici sono rimasti tali. Chi non ricorda la suggestione di “pensare globalmente, agire localmente” dell’Agenda 21 (del ’92-96) ? O la sfida, come la poneva Edgar Morin già negli anni ’90, “pensiero del complesso, pensiero del contesto”?( strategia alla quale ho creduto ci si dovesse riferire, almeno nella scuola). Scriveva tanti anni fa un vecchio pessimista/ottimista come Bertrand Russel: “Il pensare non è una facoltà naturale dell’uomo. Sono i problemi che lo costringono a farlo..” Ora, i problemi ci sono, il pensiero ancora no e, giustamente Giangiacomo nell’aprire il Convegno coinvolge nella riflessione critica, in primis, la “scienza economica organica al Capitalismo” che certamente ha svolto e svolge un ruolo fondamentale nel convalidare le forme tanto aggressive quanto cieche del capitalismo finanziario planetario. Tuttavia il monito è immediato per tutte le discipline che hanno ruolo e si propongono di fornire basi scientifiche o almeno criteri razionali al governo dei popoli e dei territori e tra tutte, certamente l’urbanistica e la pianificazione territoriale in genere, discipline che non godono in questi tempi di buona fama anche perché non riescono a rigenerare la loro utilità; può così accadere che le amministrazioni comunali non adeguino i loro strumenti urbanistici (domandandosi perché devono farlo) e, a livello regionale, non bastino due legislature per una nuova legge (di governo del territorio) per sostituire la legge urbanistica che risale al 1989.
Le discipline che perseguono un “sapere certo”, se non organico al potere almeno di supporto alle politiche, si confrontano costantemente con la definizione dei propri statuti e spesso dovrebbero rimettere in discussione i propri principi, dubitando prima di tutto dei loro “paradigmi” e soprattutto della loro parte di potere. E questo non è facile per nessuno. Più di vent’anni fa, nelle riflessioni a margine delle elaborazioni del piano per Cagliari, ho proposto (ovviamente senza suscitare interesse tra gli addetti ai lavori) di assumere l’Edipo re” come metafora dell’urbanistica: tutta la tragedia è una grande indagine per scoprire da dove vengano i mali che attanagliano la città e questa indagine è sviluppata da Edipo con rigore scientifico, per scoprire, alla fine, di essere lui stesso la causa del male. Indaghiamo sulle cause dello spopolamento delle aree interne, sulle periferie degradate, sulla città dei ricchi e dei poveri e su tante altre questioni che riguardano la condivisione dello spazio: dove pensiamo di trovare l’origine del male se non nelle nostre azioni individuali e collettive, nelle nostre presunte certezze? In questo senso l’impegno alla riflessione critica sul passato, allarmata per il futuro, deve essere generalizzata e, tuttavia non priva di speranza. La metafora di Edipo non termina con l’atto disperato di darsi la cecità e di farsi esule fuori dalla città; Sofocle ce lo ripresenta (Edipo a Colono) sostenuto amorevolmente dalla figlia in un amichevole ambiente naturale, accolto dai vecchi del piccolo villaggio; perduta la vista e il potere indagatore all’esule viandante resta la possibilità di una nuova sensibilità più modesta e nel contempo più complessa perché ingloba l’esperienza precedente. Da vent’anni l’esigenza di una nuova sensibilità più modesta e più complessa si è manifestata anche ai pianificatori e agli urbanisti, nel momento in cui anche la politica evoca la “centralità del paesaggio”. La mia opinione è che le discipline della pianificazione non abbiano a sufficienza compreso i cambiamenti culturali che la nozione di paesaggio comporta, ma abbiano cercato di integrare l’impianto metodologico delle “scienze del territorio” con qualche corollario di attenzione e salvaguardia nei confronti dei “beni paesaggistici e ambientali”. Trovare il modo di riannodare le discipline, soprattutto quelle a base scientifica e tecnologica, che per loro natura delimitano e parzializzano il contesto, con le visioni politiche è certo una sfida per le prossime generazioni. “Non esiste una scienza dello spazio. Lo spazio urbano è politico” ha scritto H. Lefebvre negli anni ’60, negli anni caldi del conflitto urbano; oggi bisognerebbe scrivere “il pianeta è politico” e saper suscitare i corrispondenti approcci scientifici e disciplinari.
Armungia, 28 settembre 2019.