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L'Autonomia dell'Arte nel rapporto tra interno ed esterno - Angelo Liberati
Come operatore culturale e pittore, il mio intervento si concentrerà brevemente sulla necessaria attenzione che si dovrebbe prestare allo specifico dell'Autonomia dell'Arte, questo ancor più in una realtà come quella Sarda, autonoma già per motivi geografici.
La necessaria autonomia dell'arte è resa evidente dalla difficoltà che trovano le esperienze artistiche contemporanee presenti nell'Isola, a rapportarsi e confrontarsi con le realtà artistiche nazionali ed internazionali, a causa di un malinteso rapporto con le tradizioni. Malinteso perché non sempre viene correttamente accettato il distacco, operato dagli artisti contemporanei, dai linguaggi della tradizione sardo-centrica (potrei dire la stessa cosa se mi trovassi ad operare nella mia regione di origine, il Lazio) e la scelta di operare all'interno delle arti visive: pittura, scultura, fotografia, e direi anche cinema, adottando linguaggi e mezzi espressivi necessariamente “autonomi”, rispetto a quanto la tradizione tramanda. Senza una riconosciuta autonomia di linguaggio, la situazione artistica regionale rimane intrappolata nella rete delle referenze iconografiche ottocentesche. Questo malinteso rapporto con la tradizione si è registrato e si registra ancora nelle opere della maggior parte degli artisti attivi nel territorio regionale. La arrendevole fedeltà alla tradizione figurativa sarda, riduce ancora oggi la percentuale degli artisti che cercano e spesso trovano linguaggi e tramandi artistici adeguati al proprio tempo e in grado di afferrare il treno in corsa dell'arte contemporanea nazionale. Autonomia dell'arte vuol dire possibilità di relazione con le realtà operanti nella penisola; sempre che non si voglia assumere come ragionevole, (in parte lo era e così è stata condivisa spesso), la riflessione del Sindaco forse più amato dai cagliaritani: Paolo De Magistris, che rintracciava nell'isolamento geografico della cultura sarda il tratto distintivo degli operatori locali. Risiedo a Cagliari da mezzo secolo ma certamente non sono sardo. Ammetto di non avere problemi identitari, pur mantenendo con il luogo di origine e il luogo di residenza, un rapporto equilibrato che non mi impedisce di vedere i limiti che si autoimpongono le culture troppo ancorate ad un radicamento identitario, che non di rado rende di bruciante attualità il “chi non radica non rosica”. *
Queste brevi note, sono maturate sul filo della mia memoria e dell'esperienza in Sardegna, per dire dell'importanza che si dovrebbe riconoscere alle arti, che si esprimono con linguaggi forse meno radicati nella tradizione, ma certamente più utili alle pratiche artistiche del proprio tempo. È
auspicabile un nuovo atteggiamento, una volontà, un interesse non condizionato da preconcetti nei confronti delle arti che si rapportano alla realtà contemporanea. Attenzione necessaria prima di tutto da parte dei corregionali, per fare in modo che l'arte ricca di umori e di esperienze delle “periferie”, venga recepita dal centro dell'Impero. Altro punto dolente è il distacco geografico, che amplifica le difficoltà, già grandi, incontrate anche da chi è in possesso di capacità realizzative notevoli, che potrebbero essere riconosciute anche a livello nazionale, e invece si trova invischiato tra mille difficoltà di comunicazione a livello istituzionale tra centro e periferia. Non sono al corrente se, dopo tre decenni, siamo riusciti ad avere un canale di comunicazione con le grandi istituzioni nazionali, tipo la Quadriennale romana, che negli anni '80, per bocca dei responsabili, lamentava la totale assenza di comunicazione tra assessorati culturali sia regionali che provinciali e comunali, tramite i quali avere indicazioni su quanto si muoveva in Sardegna nel campo specifico. Stesso silenzio, lamentavano sempre in quegli anni, da parte dell'Università. La realtà del mondo dell'arte intanto è profondamente cambiata. Le grandi strutture organizzative si muovono in direzioni inimmaginabili nel nostro territorio, per fare un esempio Arte Basel immagina una rete mondiale delle città d'arte, una rete senza fini di lucro, con progetti dedicati agli spazi urbani: qui a che punto siamo?
Nel mezzo secolo trascorso in Sardegna, a Cagliari prevalentemente, ho potuto verificare che le poche esperienze innovative, notevoli in alcuni casi, nel campo delle arti visive, si sono potute attuare grazie alla caparbietà di alcuni personaggi illuminati, che come sempre assumono in primapersona le decisioni che la maggioranza non vede come necessarie o quanto meno ostacola per ragioni non sempre chiare. Questo è un'altro punto dolente nella mancata accettazione della utile e necessaria Autonomia delle arti; punto dolente perché i personaggi illuminati non sono eterni, anzi per le naturali cause dovute al ricambio, non solo generazionale ma anche elettivo, i loro metodi di “selezione e decisione “ personali vengono messi in atto, come eredità ordinarie, dai successori che non sempre sono illuminati. Ecco allora i disastri urbanistici, i monumenti inutili e dannosi sul piano estetico, le centinaia di croste acquisite come presunte opere d'ingegno, avallate dall'onorevole di turno, che probabilmente non ha mai preso nemmeno un caffè con i personaggi illuminati che lo hanno preceduto; ancor meno ha attraversato l'ingresso di un Museo, se non perché il Museo ospita una mostra degli impressionisti che, con un secolo e mezzo di ritardo, lui ama tanto. Soluzioni miracolose non ne ho, di certo mi viene in soccorso quanto di buono ma poco, è stato fatto, quando chi dispone delle chiavi del palazzo, ha saputo circondarsi di consulenti adeguati, competenti e augurabilmente immuni dalla volontà del tutto e subito, per se stessi e per il settore che rappresentano. Forse se prendiamo esempio dal settore che ha ridotto e sta riducendo gli umani in miseria, capiremmo, che per combinare un tale sconquasso la finanza deragliata non si è avvalsa dei primi ciarlatani incompetenti, ma con scrupolo ha selezionato le migliori teste per assoldarle nella realizzazione del sistema atto a spartirsi tutto il mondo conosciuto.
Proviamo ad esigere competenze da chi deve assumersi l'incarico di “abbellire” una piazza o acquisire opere per una collezione pubblica. Così troppo spesso non è stato, e rischia di non essere, se non riusciamo a capire e far capire, che quanto chiedeva l'imprenditore Soru agli operatori culturali, chiamati a raccolta con interviste di 3 minuti durante la campagna elettorale: “cosa possono fare gli artisti per la Sardegna?” la risposta è stata nella maggioranza degli intervistati: “cosa può fare la Sardegna per l'arte?”. Io oggi al punto in cui siamo, per poter ripartire verso un futuro che ci sarà (forse la mia generazione non lo vedrà, ma ci sarà) mi accontenterei che la Sardegna o meglio chi la rappresenta a livello istituzionale, se non riesce ad immaginare il cosa
fare, sarebbe già utile che non facesse danni.
*Scordatevi la stagione dei «déracinés», delle anime vagabonde e senza radici. Dimenticate gli apolidi alla Conrad, gli stranieri in patria come il Leopardi del natio borgo selvaggio, i nomadi stile Joyce, gli esuli alla Nabokov o Némirovsky. Roba d’altri tempi. Adesso è l’ora dei Gipo Farassino: il vecchio chansonnier torinese che venerdì sera ha espugnato il Carignano con la benedizione del neo-governatore Cota. Ormai se non hai radici, anzi «radicamento nel territorio», non sei nessuno. Chi non radica, non rosica. In un paese che di radicato ha soprattutto vizi e pregiudizi, sbaragliati i radicali, è il momento dei radicati, degli apostoli del radicamento. Radicati come i vitigni, come l’insalata trevisana, o il cardo gobbo di Nizza....” ”...Ma attenti, identità è «una parola avvelenata», avverte Francesco Remotti. Addirittura? Sì, spiega l’antropologo nel suo saggio L’ossessione identitaria (Laterza). Se una cultura «può essere paragonata a una mappa, o meglio a un insieme di mappe per orientarci nella complessità del mondo», per Remotti una cultura basata sull’identità è una cultura «impoverita», perché «riduce troppo drasticamente la complessità», «sostituisce alle relazioni, agli intrecci, alle sfumature, ai coinvolgimenti, alle reciproche implicazioni una logica fatta di mere divisioni, di separazioni, di opposizioni». Una logica schematica, che contrappone «noi» e «gli altri»....” riccardochiaberge.blog.ilsole24ore.com/tag/cota/
Cagliari 25 giugno 2018