Sinistra Autonomia FederalismoRipartiamo dalle idee e dai territori
Diritto alla piena e buona occupazione”
La mancanza di lavoro è diventata, soprattutto negli ultimi vent’anni, un’emergenza a livello regionale, nazionale ed europeo. La Sardegna, secondo i dati diffusi dalle istituzioni comunitarie, risulta tra le regioni con il più alto tasso di disoccupazione giovanile al 56,3%. Il problema della mancanza di lavoro è diventato cruciale per tanti cittadini, e soprattutto per molte categorie di persone che vivono in stato di disagio nella nostra isola. Il quadro d’epoca attuale, assai complesso, presenta una serie di tendenze in cui convergono vari cambiamenti, tecnologici ed economici, politici e culturali, che prefigurano una società occidentale ed europea, italiana e sarda, caratterizzata dalla disoccupazione.
La società senza lavoro assume specifiche caratteristiche quantitative e qualitative, dall’economia dei lavoretti all’esclusione sociale, mentre il diritto al lavoro, principio fondativo della costituzione italiana e della carta dei diritti europea, è stato ampiamente indebolito nel corso della globalizzazione neoliberista: soprattutto come diritto primario che riguarda la sfera di ciascun cittadino, diritto che consente una vita libera e dignitosa, assicurante i vitali bisogni primari. In tale contesto, prende forma anche il diritto a un buon lavoro, come espressione e autoproduzione di sé, largamente inteso come compito di buona e piena democrazia. Poteri di vita personale e di vita democratica risultano quindi strettamente intrecciati.
Emergono, ormai da vari anni, teorie economiche e politiche sociali che sostengono che la realizzazione della personalità dell’individuo si esplicita specialmente nel lavoro. Altre affermano che, in mancanza di lavoro, debba essere assicurato comunque un reddito di cittadinanza. A ciò si aggiungono nuove forme di lavoro e di lavoratori che continuano storicamente a mutare per varie cause: tecniche e sociali, politiche e culturali. Tuttavia, dal lavoro schiavistico a quello servile e poi salariale, la modernità, specialmente industriale, è stata marcata da capacità individuali e collettive in grado di istituzionalizzare, pur con certi limiti attuativi, una serie di diritti umani e sociali al lavoro e nel lavoro. Siamo ora in una nuova fase epocale.
In particolare, negli ultimi vent’anni sono avvenuti, specialmente nel mondo dell’informazione e delle telecomunicazioni, della robotica e delle nanotecnologie, rilevanti e rapidi cambiamenti che, nel neoliberismo senza regole, hanno determinato un’oggettiva tendenza alla riduzione della quantità di lavoro umano a cui bisogna rispondere con un nuovo modello di sviluppo umano, capace di governare democraticamente le possibili diseguaglianze, quantitative e qualitative, delle occupazioni con un nuovo approccio: attento da un lato ai processi economici imposti dalle élites dominanti neoliberistiche, dall’altro alle condizioni di indebolimento delle soggettive capacità umane. Occorre a tal fine precisare che l’aumento della disoccupazione e dell’impoverimento nel nostro paese e nell’isola non è determinato primariamente da innovazioni tecnologiche, ma piuttosto da ragioni economiche e politiche che riguardano, fra l’altro, la contestuale riduzione delle spese sia di investimento, sia di sostegno al welfare.
Sul piano economico, il crollo degli investimenti, la de-regolamentazione, il neoliberismo senza freni, hanno portato alla recessione, alla desertificazione dell’apparato produttivo, alla esplosione della disoccupazione, sia in Italia, sia nella nostra isola. I prevalenti interessi speculativi-finanziari nell’economia e gli orientamenti neoliberistici, che indirizzano i processi delle innovazioni tecniche, richiedono quindi nuove politiche macroeconomiche e microeconomiche da parte di uno Stato innovatore e strategico e non subalterno alle esigenze del neoliberismo.
Dopo le false promesse di benessere diffuso e dopo la crisi evidente della globalizzazione neoliberistica, si rende necessario giungere a un nuovo pensiero economico e a nuovo modello di sviluppo umano: individuale, sociale, ambientale. Occorre perseguire una nuova rotta per giungere a realizzare nuovi lavori di cittadinanza e innovativi piani per il lavoro, sperimentando un nuovo percorso economico-politico, istituzionale e culturale, per governare democraticamente il corso dei processi in atto.
È pertanto necessario porre in essere una serie di interventi di carattere strutturale, capaci di superare l’opposizione fra politiche lavorative attive e passive. Tali politiche, secondo gli orientamenti della Unione Europea, devono in particolare essere mirate ad aumentare la partecipazione delle donne e degli uomini al mercato del lavoro; a sviluppare una forza lavoro qualificata; a migliorare la qualità e l’efficacia dei sistemi d’istruzione e formazione; a promuovere l’inclusione sociale e a lottare contro la povertà. In sintesi, le nuove politiche del lavoro come priorità vanno realizzate come categorie forti degli investimenti sociali.
Bisogna impegnarsi non tanto per realizzare il reddito di cittadinanza come mezzo per combattere efficacemente povertà e disuguaglianze, ma piuttosto per creare il lavoro di cittadinanza: valorizzando le capacità di ogni persona contro il conservatorismo elemosiniere, per promuovere una originale esperienza personale, formativa e lavorativa, umanamente ricca e antropologicamente potenziante, contrastando fattivamente la rassegnazione e la dipendenza.
Occorre precisare che il reddito di cittadinanza, come il precedente reddito di inclusione, non è adeguato alle attuali condizioni sociali e non può sostituire politiche mirate per eliminare fenomeni specifici come, ad esempio, il carattere specialmente femminile, territoriale, cronico, del lavoro precario e della povertà, soprattutto in ambito giovanile. Infatti, come affermato già nel 2016 dal premio Nobel per l’economia Joseph Stiglitz, il reddito di cittadinanza non può surrogare politiche strutturali complessive, come l’istruzione prescolastica e l’istruzione permanente, necessarie per l’inclusione lavorativa e sociale, ma anche per sconfiggere la disuguaglianza e tornare a crescere in ambito economico.
Il lavoro che vogliamo deve essere libero, creativo, partecipativo, solidale. Per realizzarlo serve una nuova civiltà dell’istruzione e del lavoro. È necessario andare oltre i lavori che impoveriscono per creare nuove capacità personali, per risolvere problemi inediti, per progettare futuri imprevisti. Necessitano, a tal fine, politiche innovative d’industrializzazione e di re-industrializzazione ecocompatibili e una nuova economia terziaria qualificata. Serve, quindi, una svolta politico-culturale di democrazia economica, capace di promuovere la buona occupazione per tutte e tutti, connettendola poi al senso e al valore del lavoro come obiettivo strategico.
Appare indispensabile eliminare alla radice, con fattibili progetti alternativi, alcuni elementi distorsivi del mercato del lavoro che determinano lo spopolamento delle campagne e le de-localizzazioni, mentre causano l’impoverimento di comunità locali e di territori, di persone e di famiglie, indebolendone le risorse culturali e politiche di resistenza e di risposta.
È urgente, pertanto, uno straordinario impegno democratico per rigenerare le istituzioni locali, nazionali ed europee. In tale contesto, assume valore strategico la costruzione dell’individuo come persona e come nuovo soggetto di vita autonoma e pertanto nuovo valore dell’economia riformata, trasformando in senso democratico le articolazioni istituzionali interne ed esterne, sostenendo così sia un nuovo modello di sviluppo umano ecocompatibile, sia un nuovo assetto delle istituzioni nazionali e regionali.
Il passaggio dalla crisi a un nuovo modello di sviluppo umano e alla valorizzazione di nuovi soggetti dell’economia riformata richiede partecipazione e dialogo per nuovi e ampi progetti, condivisi democraticamente. In Sardegna, l’interesse per il lavoro garantito ha portato ad un accordo fra Giunta e sindacato nel marzo 2018, incrociando per certi versi il progetto sul job guarantee lanciato negli Usa da Bernie Sanders, nel solco di vari studi economici post-keynesiani.
Una straordinaria centralità del lavoro è ancora possibile in Sardegna con iniziative e programmi attivabili dalle istituzioni pubbliche e dalle imprese private unitariamente impegnate, attraverso iniziative in grado di avviare nuove strategie per creare nuova occupazione e sviluppo umano ed economico innovativo. Il Comitato promotore dell’iniziativa Sinistra Autonomia Federalismo intende a tal fine utilizzare come base di partenza il Piano del Lavoro e la Carta dei Diritti Universali del Lavoro della CGIL che rappresentano imprescindibili documenti di analisi, di riflessione e di elaborazione per orientare le scelte politiche verso la piena e buona occupazione.
Poiché Laura Pennacchi*, ex Sottosegretaria di Stato nel Governo Prodi, ha avuto un ruolo rilevante nella concezione e nella produzione di tali documenti, riteniamo che sia utile organizzare a Cagliari un dibattito con la sua presenza. L’incontro costituisce un’opportunità preziosa per avviare un nuovo percorso politico-culturale a partire dal tema:
Diritto alla piena e buona occupazione
*Laura Pennacchi, studiosa e saggista nei campi delle scienze economiche e sociali, dirige la scuola per la buona politica “Vivere la democrazia, costruire la sfera pubblica” della Fondazione Basso e coordina il “Forum economia” nazionale della CGIL. È stata parlamentare per tre legislature (dalla XII alla XIV) e sottosegretario, con Ciampi, al Tesoro, nel primo governo Prodi. È autrice di numerosi saggi e libri, tra cui La moralità del Welfare. Contro il neoliberismo populista (2008), Il soggetto dell’economia. Dalla crisi ad un nuovo modello di sviluppo (2015), De valoribus disputandum est, Sui valori dopo il neoliberismo (2018).
Cagliari, 26 novembre 2018