Sinistra Autonomia FederalismoRipartiamo dalle idee e dai territori
Sinistra Autonomia Federalismo per reinventare la democrazia (Bozza) - Paola Atzeni
1 La democrazia dei governati. Un patrimonio politico e culturale dei territori minerari
Carbonia è un luogo speciale, fatto storicamente democratico da gente speciale, in modi speciali.
Nel processo storico che la caratterizzò come città democratica -per quanto assai celebrata per gli elementi razionalistici, spesso sottacendo il carattere innegabilmente gerarchico e autoritario della sua struttura urbanistica- più che le pietre dell’architettura razionalistica poterono le personeche, con la materiale fisicità culturale dei loro corpi, si impegnarono in varie azioni con forte impegno per realizzare speciali produzioni di democrazia.
Quel che vinse nel processo che fece emergere storicamente l’identità democratica della città e dei territori minerari, quando vinse, fu specialmente la democrazia dei governati, spesso in conflitto con quella dei governanti a. vari livelli. Assumo questa individuazione di Parta Chatterjee(2004, trad. it. 2006), fondatore del gruppo editoriale dei Subaltern Studies e visiting professor di Antropologia alla Columbia University, nell’intento di indicare un più ampio orizzonte di riferimento, e anche possibili connessioni, alle esperienze locali passate e in corso.
Riflettiamo un attimo insieme sullaconcezione che riguarda la politica e la democrazia dei governati. Procediamo con un doppio sguardo,volto al passato e al presente. Chiarisco subito che per democrazia dei governati possiamo intendere tutte le pratiche di vari gruppi sociali, non dirigenti ma subordinati, storicamente tendenti a realizzare specifiche forme democratiche.
Gli studiosi della globalizzazione e della subalternità, usando il pensiero di Gramsci sul rapporto fra cultura e politica, sono da qualche tempo molto attenti alle varie forme di democrazia realizzate dai governati, nella storia e nell’attualità. Sotto questo profilo, Carbonia e le zone minerarie offrono non solo un patrimonio storico di estremo interesse, ma specialmente un campo di straordinaria sperimentazione. Infatti,è possibile collegare ora le esperienze locali di realizzazione democratica in una nuova rete -che si allarga a varie scale, nazionale, europea, globale- in cui i subalterni tentano di rimuovere i limiti delle dominazioni e delle relazioni autoritarie, anche dentro le stesse democrazie. La questione della democrazia dei governati, che interessaquindi specialmente il presente e il futuro collocandosi in un quadro globale abbastanza recente che riguarda le subalternità non passive, richiede ulteriori riflessioni. Procederò, tuttavia,con qualche esempio del passato, utile per sollecitare l’attenzione verso il presente e il futuro, individuando un unitario senso comune.
Il quadro d’epoca del primo Novecento nelle zone minerarie sarde riguardava essenzialmente aspetti primari dell’umano poter vivere. Gli eccidi di Buggerru nel 1904 e di Gonnesa nel 1906 che determinarono un’inchiesta parlamentare, i cui Atti completi furono pubblicati nel 1911 con estremo ritardo rispetto all’urgenza di fondamentali riforme, furono accompagnati da sommosse, tumulti, scioperi causati da estreme povertà delle operaie e degli operai di miniera e delle loro famiglie. Tali moti, sottovalutati da una certa storiografia istituzionalista, politicista, economicista, poiché considerati scioperi salariali e non politici, in realtà furono iniziative per poter vivere, per il diritto alla vita, e anticiparono per certi versi i percorsi dei diritti umani sanciti nel 1948.
La paga giornaliera delle cernitrici, di 80 centesimilavorando dodici ore al giorno, non bastava neppure per compraredue chili di pane-venduto a 45 centesimi al chilo- per le loro famiglie in genere numerose. Esse rivendicarono, come gli operai e per lo più con gli operai, il diritto a un salario di sussistenza, un salario per vivere, quindi il diritto alla vita.
Stare insieme dei corpi di uomini e di donne nelle piazze e nei cortei fu lo strumento collettivo per far avanzare le rivendicazioni di diritto alla vita e per dare,inoltre,visibilità e forza a una comunità di aspirazioni e di valori democratici. Varie comunità minerarie, con percorsi eterogenei di solidarietà morale, si andavanoin quel tempo formando e potenziando con un proprio senso specifico d’identità democratica nella modernità arretrata dello Stato italiano nel primo Novecento.
A proposito di modernità arretrata, notiamo subito che le cernitrici -di cui certi ingegneri ben riconoscevano la specifica competenza tecnica e che occupavano un posto strategico nel processo produttivo rendendo commerciabile il minerale- avevano una paga inferiore a quella dei manovali. Un problema di discriminazione di genere ancora irrisolto in vari Paesi, e in Italia ancor più accentuato.
Tornando alle precarietà del poter vivere nei mondi operai minerari, dobbiamo ricordare che le lavoratrici e i lavoratori erano assoggettati non solo nei bassi salari, ma anche con la speculazione dei prezzi nei generi di prima necessità. Tale speculazione era realizzata nelle cantine, controllate dalle aziende minerarie attraverso i loro fiduciari. Altri vincoli nei consumi erano costituiti da sostituti della moneta legale, emanati dall’azienda mineraria: i ghignoni del truck system, documentati per esempio a Bacu Abis durante l’inchiesta parlamentare del primo Novecento.La democrazia dei governati nel primo Novecento tendeva pertanto, in modi eterogenei in vari centriminerari, ad affermare il diritto alla vita.
Nella fase del fascismo industriale e bellico, con la nascita di Carboniae poi con le guerre, la clandestina democrazia dei governati inventò altri contenuti e altri modi, altri luoghi e altri percorsi.
Basta pensare a cos’era diventatoil fascismo già nel 1937, mentre veniva costruita Carbonia e giungeva la dichiarazione dell’impero Etiope, unitoalla Somalia e all’Eritrea nell’Africa Orientale dal 1936 con varie e nefaste imprese: dalle guerre coloniali con l’uso dei gas tossici ai vari crimini di guerra. Il polo costruttivo e produttivo della città carbonifera era in realtà un versante assai funzionale, in generale e nella mondializzazione di quel tempo, all’industrialismo bellico fascista. Era quello il regime dei governanti, delle classi al potere.
Sul piano interno, la celebrazione della nascita di Carbonia fu preceduta di qualche mese dalle leggi razziali dello stesso anno, il 1938, mentre era presente, nelle zone minerarie e specialmente a Carbonia, l’Ovra cioè la polizia segreta di Mussolini. Era quello il regime dei governanti.
C’era una democrazia dei governati? Se c’era, dov’era e come era?
La democrazia dei governati era, ad esempio, nelle poetiche e politiche clandestine di Bachisio Testoni di Bacu Abis.
Molte ottave di un suo componimento, intitolato Sosbenefizios de unu criminale, che ho editato grazie al figlio Franco Testoni -a cui devo speciale riconoscenzaper aver dato modo di farlo conoscere ai giovani-costituisce un discorso rischioso e insieme rappresenta un modello di pratica innovativa durante il fascismo, istitutiva di una democrazia di pace e fortemente contrastante la guerra.
democrazia dei governati era, per esempio, in certi testi comici di Luigi Perra, come la radiocronaca di guerra del Colonello stomaco vuoto. In un registro comico assai diverso da quello imputativo di Testoni, anche questo autore sosteneva una democrazia di pace in tempi di guerra fascista.
La democraziadi pace dei governati, che nelle poetiche e nelle comiche contrastava il fascismo bellico dei governanti, si intrecciava a Carbonia con le iniziative antiautoritarie e autonomizzanti dei lavoratori,specialmente con quelle volte contro il bestializzante cottimo Bedaux e per il lavoro umanizzante e umanizzatoche i migliori minatori, sempre più numerosi, praticavano in miniera.
C’è stata dunque a Carbonia, nei discorsi e nei fatti, in tempi difficili e in condizioni di estremo assoggettamento, una democrazia dei governati per produrre un miglior futuro territoriale, sociale, lavorativo. In tempi successivi, fino ad un certo periodo, le forze democratiche hanno dato una certa continuità, più o meno coerente o forte, a quegli obiettivi. Poi si è manifestatala crisi del loro impegno, in tempi più recenti e fino al presente.
Prima di giungere al corso più recente della crisi democratica, facciamo ancora una riflessione insieme sul rapporto fra passato e presente per mettere in luce certe attuali posizioni iperrealistiche di accettazione e passività su molte questioni: ad esempio, sul fatto che si può essereassoggettati in fabbrica nel produrre per le guerre ed essere nel contempo politicamente attivi per la pace; ad esempio, sul fatto che si può lavorare in condizioni disumanizzanti e contemporaneamente attivare negoziazioni continue e diffuse per determinare cambiamentiinnovativi che umanizzano il lavoro e la vita.
In condizioni e in relazioni di subalternità si può evidentemente, se si vuole,con e senza i partiti, non essere passivi e subalterni, ma attivi e inauguratori di innovazioni democratiche, immediate e in avvenire.
Minatori che non conoscevano Gramsci facevano a Carbonia, durante il fascismo, considerazioni assai vicine al suo pensiero: Gramsci era contro l’operaio trattato come gorilla ammaestrato, i minatori erano contro la bestia lavorante imposta nei cottimi Bedauxe apprezzavano il lavoratore intelligente che, piuttosto che dare priorità al cottimo, assicurava la vita nel tempo e nello spazio lavorativo, eliminandone i rischi per sé e per gli altri. Dello stesso ordine di sicurezza umanizzante era la capacità esibita dalle cernitrici più esperte per la selezione del minerale e volta a stimolare l’attenzione delle altre operaie,meno informate e consapevoli, verso le mine inesplose.
Limitandomi a una sintesi estrema delle esperienze locali che ho conosciuto direttamente, devo dire che le pratiche solidali e le lotte per lo sviluppo energetico, integrato con l’agricoltura e con la metallurgia,degli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso,furono in primo luogo progetti e pratiche di democrazia dei governati, in conflitto e negoziazione con i governi a vari livelli.
Varie iniziative e varie le lotte -per il passaggio all’Enel e quelle per il polo industriale di Portovesme e poi per il superamento dello sviluppo a poli e per la valorizzazione delle risorse locali, per la trasformazione della città e del territorio da monocolturale a sviluppo diversificato e multicentrico, compresi servizi sanitari, scolastici e commerciali, per giungere infinealle perduranti lotte operaie per il lavoro e non per l’assistenza, comprendendo insieme sia lestoriche pratiche di lavoro volontario per il decoro dello stare insieme in certi quartieri come in Corso Iglesias e a Rosmarino e siale diffuse associazioni di volontariato-sono state e sono pratiche di democrazia dei governati:esemplari, originali, innovative, con una specifica valenza culturale, non solo politica.
Abbiamo uno storico patrimonio democratico locale, a Carbonia e nei territori industriali minerari, certo assai forte ma ormai visibilmente infragilito: socialmente attivo in alcuni campi ma reso inoperoso politicamente nella situazione attuale di neoliberismo senza freni imperante, di finanziarizzazione economica, di robotizzazione tecnica e molto altro ancora che accentua la nostra complessità del vivere e del lavorare. Abbiamo inoltre un governo che è frutto degli errori e delle inadempienze delle sinistre, a vari livelli. Si tratta di un governo che è anche opera della stessa democrazia dei governati. Essi hanno voluto essere in certi luoghi, a loro modo, punitivi o ribellistici, secondo i casi, specialmente dove le sinistre hanno recentemente malgovernato o maltutelato i bisogni del lavoro e di lavoro.
2 Partire dall’occupazione delle donne e dalla democrazia di genere per reinventare la democrazia
Domandiamoci ora per continuare il percorso precedente, dove e da chi, come ripartire per reinventare una nuova democrazia dei governati adeguata ai nuovi tempi, ai nuovi bisogni delle persone, localmente e nell’assetto globale.
Partiamo dal patire più diffuso e più acuto: dalla mancanza di lavoro come esclusione ed espulsione delle persone dalla cittadinanza e come privazione di un insieme di diritti. Partiamo cioè dal lavoro ma non con una postazione biecamente lavoristica in cui purché ci sia lavoro va bene qualunque regime. Partiamo cioè dall’occupazione non solo piena e sostenuta dall’istruzione continua e avanzata per sé e per fronteggiare i cambiamenti tecnologici, ma buona cioè garantita democraticamente nel quadro dei diritti civili ed umani: dalla salute all’ambiente, dalla casa alla mobilità.
Partiamo dalle donne, dalla disoccupazione femminile non solo in senso lavoristico, ma intrecciando l’obiettivo del lavoro con quello di reinventare la democrazia, a partire dalla democrazia di genere. Partiamo da un cruciale problema di democrazia ancor oggi irrisolto che riguarda la disoccupazione specialmente femminile e dal ruolo delle donne nell’economia dei lavoretti che le riguarda, la gig economy, mentre le donne studiano di più e hanno migliori rendimenti scolastici. Partiamo dalla disoccupazione, dal precariato e dalla sottoccupazione delle donne come fattore negativo per la società in generale, indebolita dal mancato apporto delle donne.
Possiamo iniziare costituendo un gruppo promotore per giungere un Comitato di donne di Carbonia per la piena e la buona occupazione e per reinventare la democrazia, senza aspettare le giovani che potranno comunque federarsi, senza paura di cominciare in poche. Il nucleo attivo di momenti alti della locale democrazia dei governati partiva, infatti, da non molte persone capaci però di suscitare partecipazione e consensi.
Proviamo e sperimentiamo, perché tocca alle donne e anche a tutti coloro che vogliono rigenerare la vita democratica, reinventare la democrazia dei governati in alleanza con l’umanità maschile democratica,dopo i cedimenti propri dei governanti insufficienti e delle sinistre subalterne al neoliberismo senza freni, e ora di fronte a una destra italiana maldestra e per molti aspetti pericolosa.
Tocca alle donne, ma non solo alle donne, attraversare le elezioni creando gruppi locali e reti territoriali per reinventare la democrazia dei governati, facendonestrumenti di negoziato con le forze che governeranno.Vari gruppi, a partire dall’obiettivo della piena e buona occupazione e con altri validi obiettivi, su cui non è opportuno soffermarsi perché non possono esser creati a tavolino, potranno essere messi in opera per reinventare la democrazia.
Bisogna procedere immediatamentee con una visione globale, invitando subito, con i contributi di validi sponsor, studiosi e consulenti di alto profilo che dialogano attualmente con la nuova sinistra americana di Bernie Sanders e con quella inglese di Jeremy Corbyn.
Mi riferisco ad un gruppo di docenti assai accreditati e presenti in un libro collettaneo intitolato The Job Garantee. Toward True Full Employment. I coordinatori di questi studi sono Michael J. Murray, un economista dell’Università del Bemidji State e del Centro per il pieno impiego e la stabilità dei prezzi, in America; MathewForstater, professore di Economia nell’Università del Missouri-Kansas City e Direttore dello stesso Centro. Altri studiosi interessanti sono L. Randall Wray, allievo di Hyman P. Minsky, studioso a cui si riferisce spesso in Italia Laura Pennacchi nei suoi saggi. Wray è stato visiting professor a Roma e Parigi, consulente in vari casi di crisi nel mondo e in Europa.FadhelKaboub, professore di economia a Denison e Presidente del Binzagr Institute for SustainableProsperity, è stato invece nel maggio scorso a Londra dove ha affrontato i temi dell’economia della cura, della dignità, della prosperità, nel quadro del programma per il lavoro garantito.
Nei loro studi appaiono interessanti distinzioni da cui possiamo ben imparare. Ad esempio, fra lavori socialmente utili e lavori strategicamente utili con diverse gerarchie d’importanza, anche secondo le scale territoriali. Appare inoltre evidente che la disoccupazione involontaria è una configurazione caratteristica delle economie capitalistiche. Emerge che il settore privato non può risolvere questo problema che ha costi sociali e sanitari enormi, compresa la salute mentale, senza che i governi usino le politiche per la piena occupazione: che significa,per tali studiosi,zero disoccupazione involontaria. Dal 1996 istituzioni, conferenze, pubblicazioni in America, in Australia, in Europa, promuovono e dibattono il lavoro garantito, generalmente nel quadro di una critica al neoliberismo. In Italia se ne è occupatain modo assai originale e aperto specialmente Laura Pennacchi(Pennacchi L. 2014, 2015, 2018), con cui abbiamo cominciato a dialogaresulla piena e buona occupazione in Sardegna e in Italia, pensando al lavoro di cittadinanza in alternativa al generalizzato salario di cittadinanza,da limitarsi ai casi d’impedimento involontario al lavoro.
Semplifico al massimo il quadro e il processo di riferimento presenti in questi studi.In generale, il governo federale americano offre il pacchetto salariale, ma i gruppi comunitari, le organizzazioni non governative, le imprese nonprofit e i governi locali amministrano il programma di lavoro garantito che è una sorta di stabilizzatore anticiclico: si espande quando l’economia è in crisi esi contrae quando il settore privato richiede una crescita di lavoro. Infine, il programma sviluppa le infrastrutture e stimola la produttività.
I valori che questainnovativa economia sostiene riguardano i diritti umani connessi alla sostenibilità ecologica per i lavori verdi (Forstater M. 2004, GodinA. 2012), mentre viene considerato che il diritto all’occupazione è il più importante mezzo per altri diritti sociali: al cibo, alla casa e alla salute… Rispetto ai convenzionali stimoli fiscali che non garantiscono la piena occupazione, il programma di lavoro garantito accompagna il cambiamento strutturale e tecnologico. Casi di studio ed evidenze empiriche, oltre le consuete modellizzazioni e simulazioni economiche ecerti innovativi sviluppi teorici, caratterizzano questi nuovi approcci americani sul lavoro garantito.
3 Fallimenti del capitalismo e del neoliberismo. Urgenze di politiche democratiche innovative
In realtà, il pensiero economico dominante risulta incapace di risolvere le crisi attuali: dal crac finanziario del 2008 e fino alle sue attuali conseguenze, emerge l’incapacità delle moderne economie capitalistiche di generare una quantità d’investimenti pubblici e privati nell’economia reale, sufficiente per alimentare la crescita e una domanda sostenuta (Mazzucato M.- Jacobs M. 2016 trad. It. 2017).
Il declino degli investimenti è legato alla finanziarizzazione delle imprese, mentre l’innovazione registra un certo rallentamento. La crescita debole e instabile è, comunque, solo una parte del problema del capitalismo moderno. Una tendenza vistosa riguarda il fatto che l’aumento di produttività non ha accompagnato un aumento delle retribuzioni e la distribuzione è diventata più iniqua.
I redditi dei più ricchi, in vari Paesi, è intanto aumentato a dismisura: del 47% negli Stati Uniti dal 1975 al 2012, del 37% in Canada nello stesso periodo, in Australe e nel Regno Unito di oltre il 20%.
Per quelli in cima alla piramide i redditi sono cresciuti fra il 1980 e il 2013 del 142%.Nei tre anni che seguirono il crac del 2008 il 91% dei guadagni di reddito è finito nelle tasche del percentile più ricco della popolazione, mentre il mercato del lavoro diventava sempre più polarizzato e insicuro e la percentuale dei lavoratori malpagati aumentava in quasi tutti i paesi avanzati. Dopo il crac finanziario la disoccupazionegiovanile, specie fra i 18 e i 25 anni, è rimasta pervicacemente alta, con tassi superiori a un terzo in Italia, Grecia, Spagna e Portogallo. Le forme di lavoro dette atipiche (precario, interinale, autonomo) costituiscono un terzo costituiscono ormai circa un terzo dell’occupazione totale nei paesi dell’Ocse, dove nel 2013 circa un terzo dei lavoratori a tempo parziale desideravainvece lavorare a tempo pieno.
Le diseguaglianze sono aumentate nel mondo industrializzato in cui la modernità aveva promesso benessere e progresso, con uno spostamento dai salari ai profitti nella distribuzione del reddito.
Fra le tendenze del capitalismo moderno c’è anche l’aumento senza precedenti del rischio ambientale, con il superamento di soglie critiche dei processi biochimici, la trasformazione del clima, il calo della produttività agricola e l’insicurezza alimentare, il peggioramento dei livelli di salute e di mortalità, un’accelerazione delle migrazioni e dei conflitti, della perdita di ecosistemi e specie. Il capitalismo moderno aumenta i rischi per il futuro, mentre l’attuale governo italiano inscena fermezze crudeli per limitare, con palese inefficacia, gli effetti dei processi che determinano le migrazioni anziché contribuire a rimuoverne le cause.
Il capitalismo occidentale è profondamente in crisi, ha bisogno di essere ripensato e trasformato con soluzioni alternative: dai modi dell’austerità a quelli degli introiti fiscali, dall’aumento del debito pubblico alla lentezza della crescita, dai bassi livelli d’investimenti -diventati ormai il tratto distintivo delle economie occidentali- alla penuria di investimenti pubblici in funzione di leva per orientare quelli privati. Mentre sono sorti potenti oligopoli durante le celebrazioni della libertà senza freni del mercato neoliberistico, sono state deboli nel passato e mancano ora nel governo italiano azioni di svolta verso punti di innovazione produttiva e ambientale per combinare lo sviluppo delle tecnologie informatiche con l’ecologia del benessere, creando una nuova crescita durevole.
Dipendiamo da modelli economici del passato, nonostante i vistosi fallimenti.
L’innovazione richiede politiche finanziarie molto specifiche: a lungo termine e responsabili. Necessita, sostiene la Mazzucato,di una ricerca pubblica dotata di fondi e di istituzioni adeguati a politiche industriali forti, con catene innovative coordinate e con una direzione precisa in campi nuovi. Questa studiosa afferma, in buona compagnia, che i fondi pubblici hanno trainato la rivoluzione informatica, le bio e le nanotecnologie, le tecnologie verdi, agendo sia sul lato della domanda sia sul lato dell’offerta, creando nuovi mercati e nuovi prodotti. Gli investimenti pubblici, in certi luoghi e momenti, hanno attratto quelli privati. Hanno indirizzato il conseguimento di obiettivi pubblicamente selezionati. Le imprese non creano ricchezza da sole. Nessuna azienda può oggi operare senza i servizi fondamentali forniti dalla Stato, cruciali per la produttività delle imprese. Occorre uno Stato, e un governo, fortemente innovatore. Ciò vale, a mio avviso, anche per l’assetto dell’ordinamento statale in senso federalistico, proiettato sia nella più ampia scala europea, sia nell’inferiore scala regionale.
Una politica innovativa, inclusiva, sostenibile in Sardegna, in Italia, in Europa è assolutamente urgente. Per nuove politiche pubbliche, capaci di modellare un futuro economico democratico è necessario un impegno straordinario e diffuso per reinventare la democrazia con straordinarie esperienze di democrazia dei governati, idonei a rivitalizzare sia le vite esposte a vari rischi, sia la salute della nostra stessa democrazia, capaci di condizionare i governi a vari livelli e di negoziare con essi.
4 Governi innovatori sono necessari e possibili
Mentre L. Randall Wray, uno studioso che si occupa di problemi monetari, finanziari e bancari,illustra importanti differenze fra bilanci familiari, bilanci pubblici e politiche macroeconomiche, Mariana Mazzucato affronta invece temi che riguardano il ruolo fondamentale dello Stato nelle politiche che favoriscono l’innovazione produttiva. Essa invita a ripensare il ruolo delle politiche pubbliche in economia e il rapporto tra settore pubblico e settore privato. Il ruolo dello Stato, a suo avviso, non può limitarsi a correggere i fallimenti del mercato, come prescrive il modello economico ortodosso.
Questa studiosa utilizza alcune intuizioni degli economisti schumpeteriani e di quelli evolutivi, attenti non alle linee ma alle reti e ai sistemi innovativiin cui le istituzioni pubbliche e private importano e promuovono, modificano e diffondono le nuove tecnologie. In questi sistemi operano azioni e retroazionitra mercati e tecnologia, applicazioni e scienza, politica economica ed investimenti.Essa sostiene che lo Stato deve creare attivamente forme di crescita economica più forti, più sostenibili, più inclusive. Invece, è assai preoccupante il calo degli investimenti in ricerca e sviluppo in percentuale del Pil sia negli Stati Uniti, sia in molti Paesi europei, mentre nel settore privato la ricerca applicata ha una portata ristretta. In questo spostamento sulla ricerca applicata, si è ridotta e indebolita la ricerca di base.
Si è consolidata una visione a breve termine, il corto-terminismo nel mercato dei capitali, insieme alla massimizzazione del valore per gli azionisti e un’ideologia manageriale che a consentito agli alti dirigenti di molti paesi di arricchirsi a dismisura finanziarizzando le imprese e sottraendo risorse agli investimenti e all’innovazione.
L’innovazione, secondo il suo punto di vista, è un processo assai complesso: collettivo, cumulativo, incerto, dipendente in parte dai modelli pregressi. Da internet alle nanotecnologie, la gran parte dei progressi tecnologici più importanti degli ultimi cinquanta anni -di base, a valle e nella commercializzazione- è stata finanziata da organismi pubblici.Le imprese private sono intervenute successivamente agli investimenti statali, quando si intravvedeva chiaramente la possibilità di un ritorno economico.
Molti casi illustrano la storia di uno «Stato imprenditore» -non solo nel complesso militare-industriale, ma anche in quello della sanità e dell’energia negli Stati Uniti- ben studiato dall’autrice negli ultimi anni (Mazzucato M. 2014). Contabilizzando i possibili insuccessi, importante è decidere quali direzioni intraprendere e con quali modi operare.
Socializzare i benefici nel cambio con la socializzazione dei rischi è un modo trascurato dall’economia ortodossa ancora imperante. La natura speculativa e a breve termine della finanza privata richiede che la paziente finanza pubblica controllata dallo Stato coltivi i tempi lunghi di certe fasi dell’innovazione, secondo i casi e gli obiettivi trasformativi. Ad esempio, la direzione verde non è solo questione di energie rinnovabili, ma anche di nuovi sistemi di produzione, distribuzione consumo in tutti i settori. Si tratta di indicare direzioni di cambiamento e di sperimentare poi soluzioni dal basso, con adeguati cambiamenti organizzativi e socializzando non solo i rischi ma anche i benefici, sostiene la Mazzucato.
La necessità di uno Stato fortemente capace di attivare l’innovazione si accompagna, in realtà, alla fragilità e perfino al declino dello stato-nazione nel capitalismo che globalizza, così da sentir parlare spesso di una situazione post-nazionale, riferendosi alla globalizzazione. Gli stessi nazionalismi risorgenti sono stati visti come sintomo della crisi dello Stato-Nazione e sono stati oggetto di analisi nel quadro della globalizzazione da parte di femministe di indubbia eccellenza scientifica, come Butler J. e Spivak GC. (2009).
Qualche anno prima ArjunAppadurai (2005) aveva analizzato il modo in cui la globalizzazione, esasperando paure e incertezze sociali, poteva sostenere false sicurezze di purezza e di superiorità identitaria, prodotte con varie violenze creando comunità omogenee con valori condivisi e producendo minoranze inadeguate: neri, migranti, lesbiche, gay, diversamente abili e così via.
Pe la Butler le vite precarie sono frutto di operazioni di potere e richiedono forme di lotta importanti. Essa, pertanto, auspica nuove forme di lotta in nome di diritti post-nazionali che riguardano la distribuzione delle vulnerabilità su scala globale. Tuttavia, lo Stato espelle e rinchiude, come accade anche in Italia con la criminalizzazione dei clandestini, per altri versi sfruttati o ignorati per la sicurezza nazionale. Oppure, confinati in lager fuori-vista dalla critica dell’opinione pubblica. Le politiche contro i migranti sono la continuazione, in altre forme, della storia coloniale europea. Mentre i diritti all’eguaglianza sono diritti a venire, e pertanto post-nazionali.
La Spivak passa dalla critica della politica alla critica dell’economia politica. Essa muove dalla divisione internazionale del lavoro e dai rapporti di forza tra le nazioni opponendosi al capitalismo senza regole, mentre dagli anni novanta del secolo scorso lo Stato abbandonava priorità locali e perdeva il suo potere di distribuzione, con la ristrutturazione economica e politica avvenuta nell’interesse del capitale globale. Appare così la lunga e grave crisi della sinistra mondiale che ha creduto nella globalizzazione neo-liberista, incapace di analizzare sia le trasformazioni del potere dello Stato, sia quelle della forza-lavoro globale in rapporto alla mobilità del capitale. Per liberarsi del nazionalismo nazionalista, la Spivak sostiene un «regionalismo critico». Essoriguarda, anche a mio avviso, le organizzazioni nazionali e sovranazionali che fanno gli interessi del capitale globale e condivide leggi democratiche specialmente di istruzione, sanità, welfare. Essa si rivolge al femminismo globale per reinventare uno Stato libero da nazionalismi e fascismi, mettendo in piedi le energie del«regionalismo critico». La reinvenzione dello Stato, per questa studiosa, va al di là dello Stato-Nazione e si estende globalmente, mentre poggia sulle forze diffuse del«regionalismo critico».
Ho riferito varie analisi e proposte di studiosi di differenti orientamenti disciplinari cercando di intrecciare fili argomentativi differenti, ma con certi contenuti affini riguardo a non poche questioni riguardanti la crisi della democrazia occidentale a livelli multipli, e le possibili risposte rinnovatrici. La domanda, sottesa nel mio percorso espositivo, riguardain fondo la proposta della Spivak. Esplicitandola, mi chiedo se il nostro regionalismo critico può riguardare la proposta e la costruzione di un nuovo federalismo che, attraversando l’Italia e l’Europa, può giungere a dialogare in altri luoghi del Sud del mondo con il femminismo globale e con gruppi e ceti subalterni che attivano i loro regionalismi critici per reinventare, attraversando varie scalenazionali e sovranazionali, la democrazia locale e globale.
Cagliari, 13 gennaio 2018