Sinistra Autonomia FederalismoRipartiamo dalle idee e dai territori
Introduzione
Dinnanzi all'interrogativo implicito nel titolo della giornata di lavoro ad Armungia, Un’economia per l’uomo e per la natura. Idee per il ripopolamento di un territorio, si può cominciare dal domandarsi quali suggestioni suggerisca al geografo l’idea di un “ritorno al territorio” per mezzo di nuove economie.Una riflessione che pone al centro dell'analisi dunque la necessità di individuare nuovi processi di coevoluzione sinergica fra insediamento umano e ambiente alla scala locale e interroga la categoria dello sviluppo locale a partire proprio dall'idea di quale sviluppo e quale locale. Utilizzando le parole di Giuseppe Dematteis e Alberto Magnaghi, il dato di partenza, particolarmente alla scala locale, è la «constatazione che il sistema di produzione-consumo oggi dominante – quello in cui il nostro rapporto con gli altri e con l’ecosistema planetario tende ad essere mediato solo dal mercato dei beni, dei titoli finanziari, dei servizi e del lavoro – sta creando più malessere che benessere».
Ritorno al territorio
Da qualche decennio un filone di descrizioni geografiche ha posto l'attenzione su forme di organizzazione territoriale possibili per la sopravvivenza di ecosistemi uomo-ambiente a bassa densità di popolazione, di infrastrutture in senso ampio e di flussi di risorse (persone, denaro, conoscenza). Un primo elemento decisivo che segna uno spartiacque teorico tra i differenti approcci possibili al ruolo del territorio nei processi globali descritti sopra, riguarda la natura stessa del territorio, alternativamente concepito come semplice punto di caduta, schermo e/o contenitore di dinamiche originate alla scala globale o, viceversa, elemento attivo imprescindibile e costitutivo dei processi in atto. I due approcci sono centrali ad esempio nell'analisi di Francesca Governa sul rapporto tra dimensione locale dello sviluppo in Italia e le politiche territoriali. Uno spostamento del focus del dibattito sullo sviluppo locale da un punto di vista principalmente economico, attento prima di tutto a variabili di crescita, occupazione e mercato del lavoro, a un nuovo ruolo del territorio oltre a quello di fattore di produzione a sostegno dei processi di competitività tra sistemi locali. Un programma di ricerca che prefigura una nuova centralità dei bisogni umani fondamentali (materiali e non) e il consolidamento delle prassi di autorganizzazione alla scala locale: il territorio come nucleo essenziale di un progetto di società, fulcro della produzione e riproduzione identitaria e del patrimonio locale, in particolar modo attraverso le reti dei soggetti ed il milieu territoriale locale. La costruzione collettiva del territorio, attraverso la capacità autorganizzativa dei soggetti locali nella forma di reti relazionali è al centro dell'analisi e se ne esalta il carattere strategico nelle dinamiche di attivazione e riproduzione di risorse localmente individuate e specifiche. Si passa dunque da una descrizione di uno spazio astratto dello sviluppo alla definizione di un ambito territoriale definito dalle interazioni basate sulla quotidianità, la conoscenza materiale e simbolica diretta, condivisa dei luoghi. Per queste ragioni la scala geografica di riferimento della rete di attori non è definibile a priori ma ha comunque i caratteri della prossimità fisica.
L’osservazione, dunque, ha il compito di individuare innanzitutto l’eventuale (e non scontata) esistenza di tale risorsa e le sue diverse articolazioni territoriali, attraverso indizi che rivelino i tratti di un sistema locale territoriale. In questi luoghi è possibile cogliere capacità autorganizzative delle reti dei soggetti locali e, conseguentemente, ambiti potenziali per una governance territoriale finalizzata a uno sviluppo locale durevole. Il secondo elemento che merita particolare attenzione è il concetto di milieu, per il quale la risorsa territoriale non è un fatto preesistente, vocazione naturale, ma condizione e strumento della costruzione territoriale, le risorse materiali e immateriali sedimentate nella coevoluzione tra comunità locale e territorio e le rappresentazioni, le singole scelte di valore e d'uso dei soggetti alla scala locale. Le pratiche e la progettualità di cui gli attori locali sono portatori in un momento dato veicolano valori specifici, localizzati nello spazio e nel tempo, distanti da ogni tentazione di definizione normativa a tavolino di vocazioni locali. Da esse deriva la creazione del valore aggiunto territoriale, a partire dalle risorse territoriali e da come le forme specifiche di autorganizzazione locale hanno potuto e saputo porle in valore
Il tema dell'estrazione del valore alla scala locale può dunque essere letto non come semplice processo passivo dettato da valori, razionalità e rapporti di potere esterni alla scala , ma come attiva interazione con i livelli sovralocalie creazione di nuovo valore, accrescendo il proprio capitale territoriale e non riducendo, ad altre scale di riferimento, quello di altri territori coinvolti nel processo. Si ricompongono così gli elementi che strutturano la crisi in atto nei luoghi decentrati rispetto ai principali flussi materiali e immateriali globali. La scala locale è animata dalle reti di relazione dei soggetti locali che, attraverso le componenti del milieu,individuano e fanno emergere i valori potenziali economici, estetici e sociali. Le relazioni tra locale e sovralocale, improntate allo scambio ininterrotto tra valori esterni (sociali, economici, di conoscenza) e valori generati dall'interazione tra soggetti locali e milieu, "aprono" i territori all'innovazione continua, orientano la costruzione collettiva della dimensione locale verso esiti lontani da visioni regressive, statiche, fondate su un’appartenenza identitaria rivolta al passato. Nella dimensione di pratica attiva si fonda, al contrario, il carattere essenzialmente progettuale della visione che stiamo delineando, la cui esistenza e vitalità vanno verificate attraverso la solidità dei sistemi di relazione in essere e degli elementi che li compongono. Nelle forme di autorganizzazione specifiche realmente in atto nei luoghi si possono delineare allo stesso tempo le possibilità future: nella lunga durata dei principi organizzativi che regolano il rapporto locale società-ambiente e la loro mutazione continua, si raccoglie il potenziale localmente individuato e specifico su cui, eventualmente, fondare un progetto di territorio condiviso.
La prospettiva territorialista dinanzi alla crisi di sistema
Le complessità e differenze localizzate non sono oggi estranee alla logica estrattiva del sistema economico globale che, al contrario, in questa fase orienta verso di esse la ricerca di nuove risorse ad alto valore aggiunto. Al di là del caso noto di singoli prodotti agricoli o elementi degli ecosistemi uomo - ambiente alla scala locale (si pensi ad esempio alla retorica dei superfood), il patrimonio territoriale può essere banalizzato attraverso discorsi apparentemente innocui sull'autentico, il tipico, la riduzione a folklore dei valori territoriali nelle strategie del marketing territoriale e delle (ipotetiche) buone pratiche, ad esempio attraverso processi fragili di museificazione o spettacolarizzazione di ogni elemento patrimoniale, spesso con un uso molto scivoloso, o esplicitamente regressivo, dei discorsi sull'identità. È nella consapevolezza della specificità e differenziazione delle traiettorie evolutive dei luoghi che si può ricercare la chiave interpretativa più interessante rispetto alle dinamiche di sviluppo locale. In fin dei conti il perno del ragionamento è il valore di esistenza dei luoghi quali deposito di risorse multiformi e di un inatteso potenziale d’innovazione, rinnovamento e, in sintesi, di durabilità del sistema territoriale a ogni scala di riferimento. Dinanzi all'urgenza di rafforzare la resilienza dei luoghi e delle comunità rispetto ad eventi climatici estremi e alle conseguenze sui suoli e gli ecosistemi, la capacità di adattamento prodotta e riprodotta dai saperi locali e dalle pratiche da essi derivate offre un capitale di soluzioni adattate ai luoghi e già disponibili a cui fare riferimento. È il tema dei servizi ecosistemici,dei servizi essenziali al benvivere e alla stessa sopravivenza delle comunità locali generati attraverso l'autorganizzazione e l'adattamento continuo tra comunità ed ecosistemi. Servizi essenziali che vanno difesi e consolidati, da un lato ispirandosi ai saperi di cura ambientale dei paesaggi storici, dall'altro favorendone l'evoluzione attraverso l'innovazione tecnologica verso la resilienza e la prevenzione del rischio nei territori. Su questi presupposti si fonda, ad esempio, la celebre sintesi di Magnaghi di territorio come «soggetto vivente ad alta complessità»,ove se ne considerino i processi di lunga durata di elementi materiali, fisici o simbolici, l'accumulazione di beni territoriali materiali e immateriali, le specifiche forme autosostenibili di valorizzazione, inclusi i settori chiave di attività e le forme di organizzazione d'impresa. S’immaginano due linee d'azione, da un lato la mitigazione nel breve periodo degli effetti sulle comunità e, allo stesso tempo, un cambio di orientamento generale del sistema economico-produttivo di fronte a «l’accentuarsi di fenomeni di etero-direzione sui principali processi di riproduzione della vita: l’acqua, il cibo, l’energia, la salute». Il ritorno al territorio come antidoto alle contraddizioni interne all'attuale modello di sviluppo, dove poteri globali svincolati dalla politica interagiscono con una politica locale priva di strumenti d’intervento efficaci.
Al centro di tale progetto emerge la natura di bene comune del territorio, prodotto artificiale (distinto dai beni naturali primari come acqua, aria, terra)dell'azione umana e dalla coevoluzione comunità - ambiente riprodotto attraverso azioni di cura continue. La cura dei luoghi nella logica territorialista è gesto politico, alternativo rispetto alle spinte deterritorializzanti e alla privatizzazione progressiva delle risorse comuni. È pratica di resistenza attraverso l’affermazione del valore di esistenza, della natura eminentemente collettiva e di bene comune della produzione e riproduzione territoriale. Si afferma così la necessità di recuperare e moltiplicare lo spazio dei beni comuni, ad esempio gli usi civici, intrinsecamente associati alla sopravvivenza delle comunità locali. Uno spazio terzo tra Stato e Mercato, per beni territoriali soggetti a nuove forme di gestione comunitaria che ne impediscano la privatizzazione e cessione, come bene comune, fondato su una coscienza di luogo e nuove forme di cittadinanza attiva. E decisivo appare il ruolo delle comunità locali, la loro capacità di progetto ma anche di resistenza attiva alla destrutturazione dei modi di vita specifici che le contraddistinguono: l'incombenza del presidio dei luoghi e del patrimonio territoriale attraverso nuove modalità di autorganizzazione non può essere semplicemente delegata alle istituzioni locali. Occorre dunque una cittadinanza attiva a valle e la necessaria integrazione, a monte, con una dimensione spaziale sovracomunale(che Magnaghi definisce bioregione), fondata sulle relazioni esistenti tra una pluralità di centri urbani e rurali, che sfidi consolidati approcci normativi centro - periferia per una nuova gerarchia multipolare, policentrica, tra i centri abitati.
Sardegna, un lento e parziale ritorno al territorio
In Sardegna negli ultimi anni il dibattito sullo sviluppo locale ha fatto emergere un generale consenso sul ridotto impatto delle politiche territoriali nella programmazione delle risorse. Nonostante ciò le analisi di Benedetto Meloni, in particolare sull’esperienza dell'Alto Oristanese, testimoniano del lavoro anticipatore riguardo a molti temi attuali svolto dal Progetto Sardegna dell’Oece (1958-1962), sul solco di una microsociologia territoriale che precorre la costruzione collettiva di uno sguardo nuovo alle comunità e ai sistemi locali anche in Sardegna. È significativo che i proponenti l'intervento valutassero in un tempo non inferiore ai dieci anni la durata minima per ottenere effetti visibili e una effettiva informazione e appropriazione da parte delle comunità locali degli strumenti individuati dalle azioni di progetto per poterne usufruire in autonomia. Gianfranco Bottazzi nei primi anni 2000 osserva i primi segnali di un ritrovato sguardo ai luoghi. Indizi di un mutamento di prospettiva (progettazione e coerenza territoriale dal basso; gli abitanti dei luoghi come variabile rilevante; tentativi di definizione comune dell'agenda, pratiche di gestione condivise e cofinanziamento) e questioni irrisolte (quali attori sono legittimati e allo stesso tempo pronti a partecipare? gli enti locali possono contare su professionalità adeguate a svolgere il ruolo di agente di sviluppo?) convivono in questa fase.
Ai temi elencati sopra si aggiungono poi elementi strutturali che riguardano la dimensione istituzionale, l'integrazione e la cooperazione alla scala intercomunale, ma anche il ruolo della RAS tra coordinamento degli interventi e il rischio dello schiacciamento dell'autonomia progettuale della scala locale. Sempre per Bottazzi la programmazione territoriale del decennio 1995-2005 ha prodotto risultati nei territori che già praticavano forme di cooperazione per attivare risorse locali e viceversa, altrove, è emersa la sproporzione tra risorse economiche e di partecipazione da parte degli attori al processo e risultati osservabili. Da ultimo Antonio Sassu ha analizzato la logica d’intervento e gli strumenti (Piani integrati d’area, Patti territoriali, Progetti integrati territoriali e la strategia Leader ) della Programmazione negoziata a partire dalla legge nazionale n. 662/96. Il giudizio è critico per tre ordini di problemi: l'inefficacia degli interventi sul sistema economico; l'inefficienza della Pubblica Amministrazione e l'assenza di collegamento sia all'interno che verso l'esterno del sistema economico regionale. Critico sia verso gli interventi dall'alto e dal basso, Sassu nota una mancanza di connessione tra le dinamiche alla scala locale e globale e di ibridazione fruttuosa tra le diverse dimensioni territoriali. Importante il tema della qualità istituzionale e delle classi dirigenti alla scala locale, attore essenziale per invertire la logica estrattiva dominante rispetto alle risorse territoriali locali e per immaginare un argine alla dissoluzione attuale delle comunità territoriali delle aree interne.
È uno dei temi centrali anche nell'esperienza più rilevante degli ultimi anni di ridefinizione delle politiche territoriali per lo sviluppo, la Strategia Nazionale per le Aree Interne o SNAI. Sono centrali nel ragionamento della SNAI nuove relazioni centro periferia in grado di sostenere il protagonismo delle comunità locali spiazzando, allo stesso tempo, equilibri di potere consolidati che si sono rivelati incapaci d’innovazione; la definizione di una strategia che integri i due ambiti correlati e interdipendenti dei servizi al cittadino e della creazione di lavoro e valore economico alla scala locale; la centralità degli attori locali nell'analisi territoriale per evitare di produrre liste di progetti senza territorio e in funzione di un ammontare predefinito; uno sforzo di analisi ed elaborazione per restituire un quadro il più ricco possibile di pratiche e suggestioni maturate localmente, sfuggendo al possibile determinismo degli indicatori quantitativi anche integrando la discussione collettiva dei risultati e la verifica con i residenti; un approccio processuale, orientato al miglioramento continuo, espresso efficacemente dalla formula sperimentalismo democraticodi Fabrizio Barca,che auspica un approccio dinamico, evolutivo e la presa di distanza dai canoni e dal carattere burocratico dei processi di assistenza tecnica tradizionale dei progetti di sviluppo locale.
In Sardegna la RAS ha sposato l'impostazione proposta dalla SNAI e si è scelta una sola area come Area Prototipo della Sardegna, l'Alta Marmilla, in ragione di una maggiore coesione istituzionale tra gli attori territoriali, considerata una delle precondizioni per la riuscita del progetto. In sinergia con la SNAI, dal 2015 la RAS ha avviato un processo definito Programmazione Territoriale, lo strumento per l’attuazione della politica regionale per lo sviluppo locale. L'obiettivo operativo è la riduzione del divario fra aree urbane e interne in termini di opportunità. Nonostante il «potenziale di ricchezze naturali, paesaggistiche e di saperi tradizionali» delle aree interne infatti persistono, secondo la Giunta regionale, «gravi deficit di servizi in tema di sanità, istruzione, mobilità, connettività virtuale» che limitano il benessere delle comunità locali. Tali servizi vengono definiti "diritti di cittadinanza". Un modello fondato sulla valorizzazione delle aree interne come "motore di sviluppo" per il territorio regionale, dotato di un «enorme potenziale di sviluppo e innovazione.
La Programmazione Territoriale ha posto al centro della scena le Unioni di Comuni e con un’attenzione prioritaria alla crescita economica dei territori si è immaginata una premialità incrementale in funzione delle dimensioni delle aggregazioni territoriali. Emerge l'idea che le dimensioni ridotte delle forme di aggregazione territoriale in Sardegna costituiscano un limite alla valorizzazione delle risorse locali a diversi livelli (efficienza nella gestione delle risorse; competitività e posizionamento internazionale dei prodotti locali; coerenza interna alla scala sub-regionale e regionale delle politiche di sviluppo territoriale). Sugli esiti dell'adozione di politiche per lo sviluppo placebased occorrerà porre particolare attenzione, specialmente per verificare che le reti territoriali individuate non siano solo temporanee alleanze orientate a drenare risorse per progetti preconfezionati, ma esito di una reale interazione territoriale, frutto di un progetto di territorio condiviso e localmente fondato su elementi specifici.
In estinzione? Verso nuove scale tra urbano e rurale
Il dibattito isolano sui temi dello spopolamento ha come simbolo l'individuazione, attraverso proiezioni statistiche delle tendenze demografiche di lungo periodo, di una lista di comuni potenzialmente a rischio estinzione all'orizzonte del 2035. La forza simbolica dell'immagine dell'estinzione d‘intere comunità locali è diventata popolare ed è entrata a far parte dell'immaginario pubblico. È interessante notare come, nel passaggio dal discorso scientifico a quello del dibattito quotidiano, prodotto e riprodotto dagli attori politici, dalla stampa e dagli altri attori dello sviluppo locale in Sardegna, sia avvenuto uno slittamento di senso essenziale, dalla proiezione alla previsione, assente nel contributo scientifico originale. Nel dibattito pubblico degli ultimi anni l'idea di comunità locali a scadenza e la condanna all'estinzione dei comuni dell'interno hanno assunto la forza normativa di un fatto conclamato, sino a diventare un simbolo dell'irreversibilità di un futuro declino.
Questa impostazione, come si è visto, è totalmente incompatibile con un approccio al territorio inteso come processo coevolutivo tra ecosistemi locali e popolazioni, attori locali e globali, sistemi identitari e di valori totalmente relazionali e interscalari, il cui esito è dunque altamente imprevedibile. Dare voce alle pratiche territorializzate, alle micro geografie locali può contribuire a restituire segnali di complessità e differenziazione per una lettura meno stereotipata. Il discorso sullo spopolamento delle aree interne è probabilmente l'elemento più pervasivo del dibattito contemporaneo sullo sviluppo locale in Sardegna. Il discorso pubblico sullo spopolamento nei quotidiani e in generale nel dibattito sembra costruire una scenario ineluttabilmente orientato alla "estinzione" di parte delle comunità locali delle aree interne. Piuttosto che rincorrere una corrispondenza deterministica tra spopolamento e incombente vuoto sociale, culturale e, in termini a noi più vicini, territoriale, si afferma la necessità di provare a delineare pratiche sociali e strategie in atto o potenziali. L'organizzazione territoriale, le stesse forme dell'azione politica dei gruppi di potere locale, in via di atrofizzazione per mancanza di popolazione, devono riorganizzarsi e cercare di far fronte al rapido drenaggio di uomini, risorse materiali e funzioni collettive. Le conquiste di una piena cittadinanza, anche nell'accesso a servizi e istituzioni collettivi, arretrano in un rapporto di causa ed effetto con la nuova marginalità emergente dei territori in spopolamento. La riflessione sulla qualità del vivere comunitario e sulle possibili opzioni per uno sviluppo locale adeguato ha come cardine da un lato il mantenimento e il continuo miglioramento delle funzioni collettive, l'accesso ai servizi di base. Un’interessante contaminazione tra ruralità, rivendicata e ben presente nell'orizzonte di ragionamento, e dimensione urbana rurale, intendendo con ciò l'ambizione a non rinunciare a condizioni di vita comunitaria e all'accessibilità ai servizi essenziali propri di una realtà urbana.
Di fronte ad una dinamica di spopolamento che minaccia la sopravvivenza di una civilizzazione rurale di lungo periodo e i molti valori ancora oggi essenziali (territoriali, fisici, etici, semplicemente "di esistenza") di cui è portatrice, la scelta dell'ibridazione, della creazione di nuovi vincoli comunitari allargati oltre la singola realtà comunale offre una possibilità di tenere vivo il rapporto territorio - comunità. Essere un po' più "città", aumentando la base demografica di riferimento e la complessità dei servizi alla persona oltre la scala comunale, per mantenere viva la possibilità di sviluppare una ruralità nuova in grado di garantire condizioni di vita attrattive. Modelli di vita ormai consolidati, legati alla qualità del vivere, dell'alimentazione e del tempo libero, nati per lo più in ambito urbano, necessitano per esistere di risorse e servizi ecosistemici che solo il mondo rurale, collinare o montano, può fornire. Immaginare una nuova relazione di scambio tra capacità d’innovazione, finanziaria e di conoscenza accumulata in ambito urbano e risorse territoriali rurali sembra uno scenario potenzialmente ottimale. L'urbano inoltre garantirebbe adeguata connessione con le reti sovralocali e globali che prediligono la dimensione della città ma cercano anche connessioni, spesso difficili da realizzarsi, con il mondo rurale. È quindi in quest'ottica, lontana da ogni tentazione nostalgico regressiva, che si può parlare di ritorno al territorio, di ri-territorializzazione nei termini descritti sopra. Innovare le modalità di relazione tra comunità umane, ambiente e accumulazione storica territoriale con la finalità di nutrire processi di coevoluzione e, allo stesso tempo, di resistenza agli effetti locali dei processi globali che svuotano il legame coevolutivo comunità - valore economico – ambiente, producendo non la distruzione della Natura ma, attraverso un de-territorializzazione violenta, l'ambiente idoneo alla vita umana.
Armungia, 28 settembre 2019.